Le Sezioni unite, pronunciando su conflitto negativo di giurisdizione proposto d'ufficio dal T.a.r. per la Liguria, dichiarano la giurisdizione del g.o. in una controversia relativa al diniego di rilascio della patente di guida, ai sensi dell’art. 120, comma 1, C.d.S., per insussistenza dei requisiti morali.
rivolto soprattutto ad operatori di Polizia che vogliono tenersi costantemente aggiornati
Sportello telematico dell’automobilista:Il CDS rende il parere sul decreto e mette dei "paletti"
Il Consiglio di Stato ha reso il parere sullo schema di decreto che modifica il d.P.R. sullo Sportello telematico dell'automobilista
Cons. St., sez. atti norm., 27 dicembre 2019, n. 3237 - Pres. Volpe, Est. Speziale
Cons. St., sez. atti norm., 27 dicembre 2019, n. 3237 - Pres. Volpe, Est. Speziale
Numero 03237/2019 e data
27/12/2019 Spedizione
Affidamenti ai servizi sociali e gold plating
Il Consiglio di Stato ha reso il parere sulle Linee guida recante indicazioni in materia di affidamenti ai servizi sociali
Circolare del Ministero dell’Interno n.557/PAS/U/016643/XV.H.8 del 04/12/2019
Vigilanza sulla produzione, commercio e detenzione di artifici pirotecnici. Prevenzione e repressione degli illeciti in materia -Indicazioni alle Autorità Provinciali di P.S. per l'attività di controllo sugli articoli pirotecnici in vista delle festività di fine anno.
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Il Governo contro gli autovelox selvaggi
Calendario dei divieti di circolazione dei mezzi pesanti per l'anno 2020
Decreto Ministeriale numero 578 del 12/12/2019
Calendario dei divieti di circolazione dei mezzi pesanti per l'anno 2020 Nelle more della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, si rende noto che in data 19 dicembre 2019 è stato registrato alla Corte dei Conti, Reg.1, Foglio 3638, il Decreto Ministeriale 12 dicembre 2019, n. 578, Direttive e calendario per le limitazioni alla circolazione stradale fuori dai centri abitati per l’anno 2020. Si rammenta che l'efficacia del presente decreto decorre dal 1° gennaio 2020.
Allegati
DM 578-2019 MIT Calendario limitazione circolazione 2020.pdf
MIT
Calendario dei divieti di circolazione dei mezzi pesanti per l'anno 2020 Nelle more della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, si rende noto che in data 19 dicembre 2019 è stato registrato alla Corte dei Conti, Reg.1, Foglio 3638, il Decreto Ministeriale 12 dicembre 2019, n. 578, Direttive e calendario per le limitazioni alla circolazione stradale fuori dai centri abitati per l’anno 2020. Si rammenta che l'efficacia del presente decreto decorre dal 1° gennaio 2020.
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Monopattini equiparati alle bici
Il testo del maxi emendamento Legge di Bilancio 2020 è stato approvato dal Senato con 166 sì e 128 contrari, in data 16 dicembre 2019.
Il prossimo 22 dicembre il testo, invece, passerà alla Camera, che voterà la Manovra 2020 senza possibilità di modifica affinchè si possa procedere spediti alla sua approvazione definitiva e alla conseguente pubblicazione in Gazzetta Ufficiale entro e non oltre il 31 dicembre 2019.
Una volta in Gazzetta Ufficiale, la Legge di Bilancio 2020 entra in vigore dal 1° gennaio 2020.
Certificato medico per porto d’armi: nuova circolare del ministero dell’Interno
Il ministero dell’Interno spiega che cosa succeda in caso di mancata presentazione del certificato medico per porto d’armi.
In caso di mancata consegna del certificato medico per porto d’armi e mancato riscontro alla diffida, le forze di polizia chiederanno al prefetto che emetta il decreto di divieto detenzione. Il Viminale ha diffuso una circolare con cui chiarisce tre passaggi in tema certificato. Appunto 1) la mancata presentazione dopo la fine della fase transitoria, poi 2) l’eventuale durata ridotta e 3) il personale abilitato al rilascio.
In caso di mancata consegna del certificato medico per porto d’armi e mancato riscontro alla diffida, le forze di polizia chiederanno al prefetto che emetta il decreto di divieto detenzione. Il Viminale ha diffuso una circolare con cui chiarisce tre passaggi in tema certificato. Appunto 1) la mancata presentazione dopo la fine della fase transitoria, poi 2) l’eventuale durata ridotta e 3) il personale abilitato al rilascio.
Regolamento (UE) 2016/1191 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 6 luglio 2016 che promuove la libera circolazione dei cittadini. Moduli standard multilingue. Art. 14 "Richieste di informazioni in caso di ragionevole dubbio".
Circolare n. 14 del 17 dicembre 2019
Regolamento (UE) 2016/1191 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 6 luglio 2016 che promuove la libera circolazione dei cittadini. Moduli standard multilingue. Art. 14 "Richieste di informazioni in caso di ragionevole dubbio".
Regolamento (UE) 2016/1191 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 6 luglio 2016 che promuove la libera circolazione dei cittadini. Moduli standard multilingue. Art. 14 "Richieste di informazioni in caso di ragionevole dubbio".
Dematerializzazione dell'attestazione sanitaria del possesso dell'idonetà psicofisica per il rilascio della patente di guida.
Circolare protocollo 38535 del 11/12/2019
Allegati
circolare_protocollo_38535_del_11-12-2019.pdf
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Allegati
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Circolare del Ministero degli interni su limitazioni orari slot: ‘L’intesa Stato Regioni rappresenta una norma di indirizzo’
Il Ministero degli Interni, con una circolare Protocollo n. 557/PAS/U/015223/12001 del 6 novembre 2019, indirizzata alle Prefetture e alle Forze dell’Ordine, oltre che a tutte le Questure, si è occupato dell’efficacia dell’Intesa Stato-Regioni-Enti Locali, sancita dalla Conferenza Unificata n. 103/U del 7 settembre 2017, con particolare riguardo a ciò che essa prevede in materia di limitazioni orarie all’esercizio del gioco mediante gli apparecchi di cui all’art. 110, comma 6, lettere a e b del TULPS.
L’intesa, come noto, riconosceva ai Comuni la possibilità di “stabilire delle fasce orarie fino a sei ore complessive di interruzione quotidiana del gioco. La distribuzione oraria va definita, d’intesa con l’Agenzia delle dogane e dei monopoli (di seguito ADM), in una prospettiva il più omogenea possibile nel territorio nazionale e regionale”.
Il Ministero, dopo aver esaminato alcune sentenze del TAR, conclude dicendo che: "In attesa che intervenga il previsto decreto di recepimento, l'intesa riveste la valenza di una norma di indirizzo per l'azione degli Enti locali costituendo, al contempo, un parametro di legittimità dei provvedimenti da essi adottati".
Tuttavia, le indicazioni contenute nell’Intesa possano essere disattese solo laddove il Comune dimostri, in sede di motivazione, l’esistenza di particolari situazioni o fenomeni, legati allo specifico contesto del proprio territorio, che rendano necessario adottare soluzioni diverse dalla disciplina destinata a trovare applicazione sul piano nazionale
L’intesa, come noto, riconosceva ai Comuni la possibilità di “stabilire delle fasce orarie fino a sei ore complessive di interruzione quotidiana del gioco. La distribuzione oraria va definita, d’intesa con l’Agenzia delle dogane e dei monopoli (di seguito ADM), in una prospettiva il più omogenea possibile nel territorio nazionale e regionale”.
Il Ministero, dopo aver esaminato alcune sentenze del TAR, conclude dicendo che: "In attesa che intervenga il previsto decreto di recepimento, l'intesa riveste la valenza di una norma di indirizzo per l'azione degli Enti locali costituendo, al contempo, un parametro di legittimità dei provvedimenti da essi adottati".
Tuttavia, le indicazioni contenute nell’Intesa possano essere disattese solo laddove il Comune dimostri, in sede di motivazione, l’esistenza di particolari situazioni o fenomeni, legati allo specifico contesto del proprio territorio, che rendano necessario adottare soluzioni diverse dalla disciplina destinata a trovare applicazione sul piano nazionale
Nuove procedure per esportazione veicoli immatricolati in Italia
In vigore dal 1° gennaio 2020 previsto anche il documento unico di circolazione
11 dicembre 2019 - Dal 1° gennaio 2020, con l’entrata in vigore delle modifiche all’art. 103 Codice della Strada, sono previsti nuovi adempimenti per chi intende esportare definitivamente all’estero veicoli immatricolati in Italia.
Infatti, occorrerà preventivamente cancellare il veicolo dall’Archivio Nazionale dei Veicoli e dal Pubblico registro automobilistico, procedura che sarà possibile solo a condizione che il veicolo sia stato sottoposto a revisione, con esito positivo, in data non anteriore a sei mesi rispetto alla data in cui si chiede la cancellazione stessa. In caso contrario, il veicolo dovrà essere revisionato per poi poter essere cancellato dagli archivi.
Per i veicoli esportati entro il 31 dicembre 2019, sarà ancora ammessa la possibilità, per il tramite degli Uffici Consolari italiani all’estero, di richiedere la cancellazione successivamente alla effettiva reimmatricolazione all’estero, allegando copia della carta di circolazione estera rilasciata in data anteriore al 1° gennaio 2020.
Inoltre, sempre dal 1° gennaio 2020 andrà in vigore il documento unico di circolazione che sarà costituito dalla sola carta di circolazione dove saranno annotati anche i dati di proprietà.
Per maggiori informazioni:
Comunicato MIT-ACI 11/12/2019
Descrizione breve
Documento unico di circolazione e di proprietà - Radiazione per definitiva esportazione all'estero di veicoli immatricolati in Italia - Nuovi adempimenti dal 1° gennaio 2020
Data emissione
11-12-2019
Tipologia atto
Comunicato
Allegati
comunicato_MIT-ACI_11-12-2019.pdf
MIT
11 dicembre 2019 - Dal 1° gennaio 2020, con l’entrata in vigore delle modifiche all’art. 103 Codice della Strada, sono previsti nuovi adempimenti per chi intende esportare definitivamente all’estero veicoli immatricolati in Italia.
Infatti, occorrerà preventivamente cancellare il veicolo dall’Archivio Nazionale dei Veicoli e dal Pubblico registro automobilistico, procedura che sarà possibile solo a condizione che il veicolo sia stato sottoposto a revisione, con esito positivo, in data non anteriore a sei mesi rispetto alla data in cui si chiede la cancellazione stessa. In caso contrario, il veicolo dovrà essere revisionato per poi poter essere cancellato dagli archivi.
Per i veicoli esportati entro il 31 dicembre 2019, sarà ancora ammessa la possibilità, per il tramite degli Uffici Consolari italiani all’estero, di richiedere la cancellazione successivamente alla effettiva reimmatricolazione all’estero, allegando copia della carta di circolazione estera rilasciata in data anteriore al 1° gennaio 2020.
Inoltre, sempre dal 1° gennaio 2020 andrà in vigore il documento unico di circolazione che sarà costituito dalla sola carta di circolazione dove saranno annotati anche i dati di proprietà.
Per maggiori informazioni:
Comunicato MIT-ACI 11/12/2019
Descrizione breve
Documento unico di circolazione e di proprietà - Radiazione per definitiva esportazione all'estero di veicoli immatricolati in Italia - Nuovi adempimenti dal 1° gennaio 2020
Data emissione
11-12-2019
Tipologia atto
Comunicato
Allegati
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MIT
Dichiarata l´inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell´art. 222, comma 2, quarto periodo, del Codice della Strada
ORDINANZA N. 203
ANNO 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
Presidente:
Giorgio LATTANZI
Giudici:
Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO,
Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO,
Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Luca ANTONINI,
ha
pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei
giudizi di legittimità costituzionale dell’art.
222, comma 2, quarto periodo, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285
(Nuovo codice della strada), come
modificato dall’art. 1, comma 6, lettera b), numeri 1), e 2), della legge 23
marzo 2016, n. 41, e dell’art. 590-quater del codice penale, come introdotto
dall’art. 1, comma 2, della legge 23 marzo 2016, n. 41 (Introduzione del reato
di omicidio stradale e del reato di lesioni personali stradali, nonché
disposizioni di coordinamento al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e
al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274), promossi dal Giudice
dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Brescia, dal Tribunale
ordinario di Verbania (n. 3 ordinanze), dal Tribunale ordinario di Firenze e
dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Grosseto, con
ordinanze del 23 aprile, del 17, 18 e 19 ottobre, del 19 settembre e del 20
dicembre 2018, iscritte rispettivamente al n. 178
del registro ordinanze 2018 e ai numeri 15, 16, 17, 18 e 36
del registro ordinanze 2019 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 50, prima serie speciale dell’anno 2018 e numeri 7 e 11, prima
serie speciale, dell’anno 2019.
Visti
gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito
nella camera di consiglio del 3 luglio 2019 il Giudice relatore Giovanni
Amoroso.
Ritenuto che il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale
ordinario di Brescia, con ordinanza del 23 aprile 2018 (r. o. n. 178 del 2018),
ha sollevato, in riferimento all’articolo 3 della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 222, comma
2, quarto periodo, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice
della strada), nella parte in cui prevede obbligatoriamente l’applicazione
della sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida in
ipotesi di condanna o applicazione della pena su richiesta delle parti per il
reato di omicidio stradale (art. 589-bis del codice penale);
che
il rimettente premette che, chiesto il rinvio a giudizio di S. Z. Z. per il reato
di omicidio stradale commesso in danno di M. C., veniva depositata dal
difensore istanza di applicazione di pena, munita del consenso del pubblico
ministero;
che
il comma 2 dell’art. 222 del decreto legislativo citato fa conseguire,
automaticamente e indefettibilmente, alla condanna, ovvero all’applicazione
della pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 del codice di
procedura penale, per i reati di cui agli artt. 589-bis (Omicidio stradale) e
590-bis (Lesioni stradali gravi o gravissime) cod. pen., la revoca della
patente di guida;
che –
secondo il giudice rimettente − la sanzione della revoca della patente
appare sproporzionata rispetto al caso di specie sicché la sua rigida
automaticità sembra irragionevole e contraria al principio di eguaglianza, con
conseguente violazione del parametro costituzionale indicato;
che
analoga questione di legittimità costituzionale della medesima disposizione
censurata è stata sollevata dal Tribunale ordinario di Verbania con ordinanze
del 17 ottobre 2018 (r. o. n. 15 del 2018) e del 19 ottobre 2018 (r. o. n. 17
del 2019), dal Tribunale ordinario di Firenze con ordinanza del 19 settembre
2018 (r. o. n. 18 del 2019) e dal Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale ordinario di Grosseto con ordinanza del 20 dicembre 2018 (r. o. n. 36
del 2019) con riferimento, da parte di tutti i giudici rimettenti, a ipotesi di
condanna o applicazione della pena su richiesta delle parti per il reato di
lesioni stradali gravi o gravissime (art. 590-bis cod. pen.);
che
il Tribunale ordinario di Verbania, con ordinanza del 18 ottobre 2018 (r. o. n.
16 del 2019), ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art.
590-quater cod. pen., in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., nella parte in
cui prevede il divieto di prevalenza e equivalenza dell’attenuante speciale di
cui all’art. 590-bis, settimo comma, cod. pen.; nonché dell’art. 222, commi 2 e
3-ter, cod. strada, in riferimento all’art. 3 Cost., nella parte in cui prevede
rispettivamente la revoca della patente di guida (comma 2) e l’impossibilità di
conseguire una nuova patente di guida prima che siano decorsi cinque anni dalla
revoca (comma 3-ter);
che è
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo dichiararsi le questioni
inammissibili o comunque infondate.
Considerato che i giudizi possono essere riuniti per la stretta
connessione dell’oggetto delle sollevate questioni di legittimità
costituzionale;
che,
successivamente alle ordinanze di rimessione, questa Corte (sentenza n. 88 del
2019) ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 222, comma 2,
quarto periodo, del d.lgs. n. 285 del 1992, nella parte in cui non prevede che,
in caso di condanna, ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti
a norma dell’art. 444 del codice di procedura penale, per i reati di cui agli
artt. 589-bis (Omicidio stradale) e 590-bis (Lesioni personali stradali gravi o
gravissime) del codice penale, il giudice possa disporre, in alternativa alla
revoca della patente di guida, la sua sospensione ai sensi del secondo e terzo
periodo dello stesso comma 2 dell’art. 222 cod. strada allorché non ricorra alcuna
delle circostanze aggravanti previste dai rispettivi commi secondo e terzo
degli artt. 589-bis e 590-bis cod. pen.;
che
pertanto, non ricorrendo tali circostanze aggravanti in alcuno dei giudizi a
quibus, non sussiste più il rigido automatismo dell’applicazione della sanzione
amministrativa della revoca della patente, potendo il giudice disporre la
sospensione della stessa secondo la gravità della condotta del condannato e
tenendo conto degli artt. 218 e 219 cod. strada;
che
quindi le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Giudice
dell’udienza preliminare del Tribunale di Brescia, dal Giudice per le indagini
preliminari del Tribunale di Grosseto, dal Tribunale di Firenze e dal Tribunale
di Verbania (quest’ultimo con le ordinanze del 17 e 19 ottobre 2018, nonché con
l’ordinanza del 18 ottobre 2018
in parte qua) sono divenute prive di oggetto e sono
pertanto manifestamente inammissibili (ex multis, ordinanze n. 91 del 2019,
n. 137 del 2017,
n. 38 e n. 34 del 2017,
n. 181 e n. 4 del 2016);
che
le ulteriori questioni sollevate dal Tribunale di Verbania con l’ordinanza del
18 ottobre 2018 (r. o. n. 16 del 2019) nella parte riferita all’art. 590-quater
cod. pen. e all’art. 222, comma 3-ter, cod. strada, sono altresì manifestamente
inammissibili;
che,
con riferimento particolare all’art. 590-quater cod. pen., le questioni sono
del tutto prive dell’indicazione della fattispecie, la cui insufficiente
descrizione impedisce il necessario controllo in punto di rilevanza e le rende
manifestamente inammissibili (ex multis, ordinanze n. 7 del 2018, n. 210 del 2017
e n. 237 del
2016);
che
manifestamente inammissibile – come già ritenuto da questa Corte (sentenza n. 88 del
2019) − è anche la questione avente ad oggetto l’art. 222, comma
3-ter, cod. strada, per difetto di rilevanza, atteso che nel giudizio penale
non vengono in rilievo i presupposti perché il condannato possa chiedere una
nuova patente di guida dopo la revoca della stessa in ipotesi applicata dal
giudice penale;
che,
in conclusione, tutte le questioni devono essere dichiarate manifestamente
inammissibili.
Visti
gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 1,
delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per
questi motivi
LA
CORTE COSTITUZIONALE
riuniti
i giudizi,
1)
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 222, comma 2, quarto periodo, del decreto legislativo
30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada) sollevata, in riferimento
all’art. 3 della Costituzione, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale
ordinario di Brescia, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale
ordinario di Grosseto, dal Tribunale ordinario di Firenze e dal Tribunale
ordinario di Verbania con le ordinanze indicate in epigrafe;
2)
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 590-quater del codice penale, sollevate, in
riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., dal Tribunale ordinario di Verbania con
l’ordinanza indicata in epigrafe;
3)
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 222, comma 3-ter, cod. strada, sollevata, in
riferimento all’art. 3 Cost., dal Tribunale ordinario di Verbania con
l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,
il 3 luglio 2019.
F.to:
Giorgio
LATTANZI, Presidente
Giovanni
AMOROSO, Redattore
Filomena
PERRONE, Cancelliere
Depositata
in Cancelleria il 24 luglio 2019.
Processo:deposito dei documenti e degli atti esclusivamente con modalità telematiche, riduzione dei riti
Comunicato stampa del Consiglio dei Ministri n. 15
6 Dicembre 2019
Il
Consiglio dei Ministri si è riunito oggi, giovedì 5 dicembre 2019, alle
ore 21.15 a Palazzo Chigi, sotto la presidenza del Presidente Giuseppe
Conte. Segretario il Sottosegretario alla Presidenza Riccardo Fraccaro.
Tra le novità più significative:
Il testo mira a realizzare una riorganizzazione dell’ente, con particolare riferimento alla razionalizzazione dei suoi organi e alla ridefinizione della sua governance, in modo da assicurare una adeguata rappresentanza dei settori produttivi interessati. Viene prevista la possibilità per il Banco di stipulare accordi di collaborazione con soggetti pubblici o privati per lo svolgimento dei propri compiti istituzionali e di svolgere attività e servizi tecnici a favore di organismi pubblici o privati, da affidare mediante convenzione a titolo oneroso. Si afferma, inoltre, l’autonomia statutaria, organizzativa e finanziaria del Banco e si prevede l’adozione di uno statuto da sottoporre all’approvazione del Ministero dello sviluppo economico, d’intesa con quelli dell’economia e delle finanze e della difesa.
*****
Stralcio
RIFORMA DEL PROCESSO CIVILE
Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie (disegno di legge)
Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della giustizia Alfonso Bonafede, ha approvato un disegno di legge di delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie. Il testo contiene disposizioni destinate a incidere profondamente sulla disciplina del contenzioso civile, nell’ottica della semplificazione, della speditezza e della razionalizzazione delle procedure, fermo restando il rispetto delle garanzie del contraddittorio.Tra le novità più significative:
- la riduzione dei tempi del processo, attraverso la compressione dei termini per lo svolgimento delle varie fasi e l’obbligo, da parte del giudice, quando provvede sulle istanze istruttorie, di predisporre il calendario delle udienze nonché, per le parti, l’obbligo di deposito dei documenti e degli atti esclusivamente con modalità telematiche;
- a scopi deflattivi del contenzioso, si amplia il catalogo delle controversie nelle quali è obbligatorio il preventivo tentativo di risoluzione alternativa, che viene invece escluso, quale condizione di procedibilità, in alcuni settori nei quali non ha funzionato adeguatamente (responsabilità sanitaria; contratti finanziari, bancari e assicurativi);
- la semplificazione e la riduzione dei riti, con la revisione della disciplina del processo di cognizione di primo grado nel rito monocratico e la riduzione del novero dei casi in cui la competenza è attribuita al tribunale in composizione collegiale. In coerenza con le nuove disposizioni, si dispone che anche il processo davanti al giudice di pace si svolga sul modello di quello davanti al tribunale in composizione monocratica, eliminando il tentativo obbligatorio di conciliazione;
- in tema di espropriazione immobiliare, si introducono nuove norme che mirano da un lato a una maggior tutela del debitore, dall’altro alla riduzione dei tempi e dei costi, a vantaggio del creditore, con la previsione che il debitore possa essere autorizzato dal giudice a vendere direttamente il bene pignorato.
*****
RIORDINO DEL BANCO NAZIONALE DI PROVA PER LE ARMI DA FUOCO PORTATILI E PER LE MUNIZIONI COMMERCIALI
Regolamento per il riordino del Banco nazionale di prova per le armi da fuoco portatili e per le munizioni commerciali, in attuazione dell’articolo 1, comma 174, della legge 4 agosto 2017, n. 124 (decreto del Presidente della Repubblica – esame preliminare)
Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente Giuseppe Conte e del Ministro dello sviluppo economico Stefano Patuanelli, ha approvato, in esame preliminare, un regolamento, da adottarsi con decreto del Presidente della Repubblica, che, in attuazione dell’articolo 1, comma 174, della legge 4 agosto 2017, n. 124, introduce norme per il riordino del Banco nazionale di prova per le armi da fuoco portatili e per le munizioni commerciali.Il testo mira a realizzare una riorganizzazione dell’ente, con particolare riferimento alla razionalizzazione dei suoi organi e alla ridefinizione della sua governance, in modo da assicurare una adeguata rappresentanza dei settori produttivi interessati. Viene prevista la possibilità per il Banco di stipulare accordi di collaborazione con soggetti pubblici o privati per lo svolgimento dei propri compiti istituzionali e di svolgere attività e servizi tecnici a favore di organismi pubblici o privati, da affidare mediante convenzione a titolo oneroso. Si afferma, inoltre, l’autonomia statutaria, organizzativa e finanziaria del Banco e si prevede l’adozione di uno statuto da sottoporre all’approvazione del Ministero dello sviluppo economico, d’intesa con quelli dell’economia e delle finanze e della difesa.
*****
http://www.governo.it/Limitazione della circolazione festiva fuori dai centri abitati dei veicoli aventi massa superiore alle 7,5 tonnellate. Precisazioni sul "viaggio a vuoto".
Circolare prot.17746 del 2 dicembre 2019
Limitazione della circolazione festiva fuori dai centri abitati dei veicoli aventi massa superiore alle 7,5 tonnellate. Precisazioni sul "viaggio a vuoto".
Allegati
Circolare prot.17746 del 2 dicembre 2019 83.82 KB
Limitazione della circolazione festiva fuori dai centri abitati dei veicoli aventi massa superiore alle 7,5 tonnellate. Precisazioni sul "viaggio a vuoto".
Allegati
Circolare prot.17746 del 2 dicembre 2019 83.82 KB
Tintolavanderie:Nuove linee guida per la formazione del responsabile tecnico
Documento della Conferenza delle Regioni del 28 novembre
Tintolavanderia: linee guida per la formazione del responsabile tecnico
(Regioni.it 3736 - 03/12/2019) La Conferenza delle Regioni e delle Province autonome nella riunione del 28 novembre ha approvato un documento che aggiorna le Linee Guida (approvate il 25 maggio 2011) relative allo standard formativo e professionale di Responsabile tecnico di tintolavanderia.
http://www.regioni.it
Tintolavanderia: linee guida per la formazione del responsabile tecnico
(Regioni.it 3736 - 03/12/2019) La Conferenza delle Regioni e delle Province autonome nella riunione del 28 novembre ha approvato un documento che aggiorna le Linee Guida (approvate il 25 maggio 2011) relative allo standard formativo e professionale di Responsabile tecnico di tintolavanderia.
http://www.regioni.it
Sanzioni disciplinari per la commissaria di Polizia Locale che fa mazziare il Sindaco
Con sentenza depositata del 2013, la Corte di appello di Brescia respingeva la domanda proposta da un commissaria di polizia locale, intesa ad ottenere l'annullamento della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per dieci giorni adottata nei suoi confronti, per non essere intervenuta in alcun modo, per impedire l'aggressione del Sindaco del Comune , pur essendo presente a pochi metri di distanza dal luogo del fatto, e ciò in violazione dell'art. 1, comma 5, lett. k) del codice disciplinare.
Dagli atti dibattimentali era emerso, infatti, che la commissaria rimase del tutto inerte di fronte all'aggressione del sindaco da parte di due uomini, non intervenne neppure verbalmente né si impegnò all'immediato inseguimento degli aggressori.
Tra i motivi del ricorso ai giudici del Lavoro, vi era anche la denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 15 della L.R. Lombardia n. 4/2003 nella parte in cui attribuirebbe alla polizia locale autonomi poteri in materia di ordine pubblico;
Ad avviso della Corte, invece, rientrava tra i compiti istituzionali della commissaria intervenire ancorchè la stessa era anche agente di P.S.
Cassazione, Sez. LAVORO CIVILE, Ordinanza n.31388 del 02/12/2019, udienza del 25/09/2019
Dagli atti dibattimentali era emerso, infatti, che la commissaria rimase del tutto inerte di fronte all'aggressione del sindaco da parte di due uomini, non intervenne neppure verbalmente né si impegnò all'immediato inseguimento degli aggressori.
Tra i motivi del ricorso ai giudici del Lavoro, vi era anche la denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 15 della L.R. Lombardia n. 4/2003 nella parte in cui attribuirebbe alla polizia locale autonomi poteri in materia di ordine pubblico;
Ad avviso della Corte, invece, rientrava tra i compiti istituzionali della commissaria intervenire ancorchè la stessa era anche agente di P.S.
Cassazione, Sez. LAVORO CIVILE, Ordinanza n.31388 del 02/12/2019, udienza del 25/09/2019
Su telegram la sentenza
Rimborso spese legali sostenute dal pubblico dipendente per la difesa in giudizio per fatti attinenti il proprio lavoro
Cons. St., sez. IV, 28 novembre 2019, n. 8137 – Pres. ed Est. Maruotti
Pubblico impiego privatizzato – Spese legali – Rimborso – Presupposti - Individuazione
Presupposti per il rimborso delle spese legali sostenute dal pubblico dipendente per la difesa in giudizio per fatti attinenti il proprio lavoro sono la pronuncia di una sentenza o di un provvedimento definitivo del giudice, che abbia escluso definitivamente la responsabilità del dipendente e la sussistenza di una connessione tra i fatti e gli atti oggetto del giudizio e l’espletamento del servizio e l’assolvimento degli obblighi istituzionali (1).
(1) Ha ricordato la Sezione che l’art. 18 sopra riportato attribuisce un peculiare potere valutativo all’Amministrazione con riferimento all’an ed al quantum, poiché essa deve verificare se sussistano in concreto i presupposti per disporre il rimborso delle spese di giudizio sostenute dal dipendente, nonché – quando sussistano tali presupposti - se siano congrue le spese di cui sia chiesto il rimborso – con l’ausilio della Avvocatura dello Stato, il cui parere di congruità ha natura obbligatoria e vincolante (Cons. St., sez. II, 31 maggio 2017, n. 1266; id., sez. IV, 8 luglio 2013, n. 3593).
Di per sé il parere – per la sua natura tecnico-discrezionale – non deve attenersi all’importo preteso dal difensore (Cons. St., sez. II, 20 ottobre 2011, n. 2054/2012), o a quello liquidato dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati per quanto rileva nei rapporti tra il difensore e l’assistito (Cons. St., sez. II, 31 maggio 2017, n. 1266; Sez. VI, 8 ottobre 2013, n. 4942), ma deve valutare quali siano state le effettive necessità difensive (Cass. civ., S.U., 6 luglio 2015, n. 13861; Cons. St., sez. IV, 7 ottobre 2019, n. 6736; Sez. II, 31 maggio 2017, n. 1266; Sez. II, 20 ottobre 2011, n. 2054/12) ed è sindacabile in sede di giurisdizione di legittimità per errore di fatto, illogicità, carenza di motivazione, incoerenza, irrazionalità o per violazione delle norme di settore (Cons. St., sez. II, 30 giugno 2015, n. 7722).
Qualora il diniego (totale o parziale) di rimborso risulti illegittimo, il suo annullamento non comporta di per sé l’accertamento della spettanza del beneficio, dovendosi comunque pronunciare sulla questione l’Amministrazione, in sede di emanazione degli atti ulteriori.
Presupposti per il rimborso sono: a) la pronuncia di una sentenza o di un provvedimento definitivo del giudice, che abbia escluso definitivamente la responsabilità del dipendente; b) la sussistenza di una connessione tra i fatti e gli atti oggetto del giudizio e l’espletamento del servizio e l’assolvimento degli obblighi istituzionali.
Quanto alla pronuncia definitiva sull’esclusione della responsabilità del dipendente, qualora si tratti di una sentenza penale si deve trattare di un accertamento della assenza di responsabilità, anche quando – in assenza di ulteriori specificazioni contenute nell’art. 18 - sia stato applicato l’art. 530, comma 2, del codice di procedura penale (Cons. St., sez. IV, 4 settembre 2017, n. 4176; id., A.G., 29 novembre 2012, n. 20/13; id., sez. IV, 21 gennaio 2011, n. 1713).
L’art. 18, invece, non può essere invocato quando il proscioglimento sia dipeso da una ragione diversa dalla assenza della responsabilità, cioè quando sia stato disposto a seguito dell’estinzione del reato, ad esempio per prescrizione, o quando vi sia stato un proscioglimento per ragioni processuali, quali la mancanza delle condizioni di promovibilità o di procedibilità dell’azione (Cons. St., sez. IV, 4 settembre 2017, n. 4176).
Oltre alla pronuncia del giudice che espressamente abbia escluso la responsabilità del dipendente, l’art. 18 ha disciplinato un ulteriore presupposto per la spettanza del beneficio, e cioè la sussistenza di una connessione tra i fatti e gli atti oggetto del giudizio e l’espletamento del servizio e l’assolvimento degli obblighi istituzionali: l’art. 18 si applica a favore del dipendente che abbia agito in nome e per conto, oltre che nell’interesse della Amministrazione (e cioè quando per la condotta oggetto del giudizio sia ravvisabile il ‘nesso di immedesimazione organica’).
Tale connessione sussiste – sia pure in modo peculiare - qualora sia stata contestata al dipendente la violazione dei doveri di istituto e, all’esito del procedimento, il giudice abbia constatato non solo l’assenza della responsabilità, ma che esso sia sorto in esclusiva conseguenza di condotte illecite di terzi, di natura diffamatoria o calunniosa, oppure qualificabili come un millantato credito (si pensi al funzionario, al dirigente o al magistrato accusato di corruzione, ma in realtà del tutto estraneo ai fatti, perché vittima di una orchestrata attività calunniosa o di un millantato credito emerso dopo l’attivazione del procedimento penale).
Sotto tale profilo, l’art. 18 tutela senz’altro – col rimborso delle spese sostenute - il dipendente statale che sia stato costretto a difendersi, pur innocente, nel corso del procedimento penale nel quale – esclusivamente in ragione del suo status e non per l’aver posto in essere specifici atti - sia stato coinvolto nel procedimento penale perché sostanzialmente vittima di illecite condotte altrui, che per un qualsiasi motivo illecito hanno coinvolto il dipendente, a maggior ragione se è stato designato come vittima proprio quale appartenente alle Istituzioni e per il servizio prestato.
Qualora in tali casi il giudice penale disponga il proscioglimento del dipendente statale, non rileva pertanto la natura attiva od omissiva della condotta oggetto della contestazione, perché ciò che conta è l’accertamento da parte del giudice penale dell’estraneità del dipendente ai fatti contestati, nonché il carattere diffamatorio o calunnioso delle dichiarazioni altrui.
Pubblico impiego privatizzato – Spese legali – Rimborso – Presupposti - Individuazione
Presupposti per il rimborso delle spese legali sostenute dal pubblico dipendente per la difesa in giudizio per fatti attinenti il proprio lavoro sono la pronuncia di una sentenza o di un provvedimento definitivo del giudice, che abbia escluso definitivamente la responsabilità del dipendente e la sussistenza di una connessione tra i fatti e gli atti oggetto del giudizio e l’espletamento del servizio e l’assolvimento degli obblighi istituzionali (1).
(1) Ha ricordato la Sezione che l’art. 18 sopra riportato attribuisce un peculiare potere valutativo all’Amministrazione con riferimento all’an ed al quantum, poiché essa deve verificare se sussistano in concreto i presupposti per disporre il rimborso delle spese di giudizio sostenute dal dipendente, nonché – quando sussistano tali presupposti - se siano congrue le spese di cui sia chiesto il rimborso – con l’ausilio della Avvocatura dello Stato, il cui parere di congruità ha natura obbligatoria e vincolante (Cons. St., sez. II, 31 maggio 2017, n. 1266; id., sez. IV, 8 luglio 2013, n. 3593).
Di per sé il parere – per la sua natura tecnico-discrezionale – non deve attenersi all’importo preteso dal difensore (Cons. St., sez. II, 20 ottobre 2011, n. 2054/2012), o a quello liquidato dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati per quanto rileva nei rapporti tra il difensore e l’assistito (Cons. St., sez. II, 31 maggio 2017, n. 1266; Sez. VI, 8 ottobre 2013, n. 4942), ma deve valutare quali siano state le effettive necessità difensive (Cass. civ., S.U., 6 luglio 2015, n. 13861; Cons. St., sez. IV, 7 ottobre 2019, n. 6736; Sez. II, 31 maggio 2017, n. 1266; Sez. II, 20 ottobre 2011, n. 2054/12) ed è sindacabile in sede di giurisdizione di legittimità per errore di fatto, illogicità, carenza di motivazione, incoerenza, irrazionalità o per violazione delle norme di settore (Cons. St., sez. II, 30 giugno 2015, n. 7722).
Qualora il diniego (totale o parziale) di rimborso risulti illegittimo, il suo annullamento non comporta di per sé l’accertamento della spettanza del beneficio, dovendosi comunque pronunciare sulla questione l’Amministrazione, in sede di emanazione degli atti ulteriori.
Presupposti per il rimborso sono: a) la pronuncia di una sentenza o di un provvedimento definitivo del giudice, che abbia escluso definitivamente la responsabilità del dipendente; b) la sussistenza di una connessione tra i fatti e gli atti oggetto del giudizio e l’espletamento del servizio e l’assolvimento degli obblighi istituzionali.
Quanto alla pronuncia definitiva sull’esclusione della responsabilità del dipendente, qualora si tratti di una sentenza penale si deve trattare di un accertamento della assenza di responsabilità, anche quando – in assenza di ulteriori specificazioni contenute nell’art. 18 - sia stato applicato l’art. 530, comma 2, del codice di procedura penale (Cons. St., sez. IV, 4 settembre 2017, n. 4176; id., A.G., 29 novembre 2012, n. 20/13; id., sez. IV, 21 gennaio 2011, n. 1713).
L’art. 18, invece, non può essere invocato quando il proscioglimento sia dipeso da una ragione diversa dalla assenza della responsabilità, cioè quando sia stato disposto a seguito dell’estinzione del reato, ad esempio per prescrizione, o quando vi sia stato un proscioglimento per ragioni processuali, quali la mancanza delle condizioni di promovibilità o di procedibilità dell’azione (Cons. St., sez. IV, 4 settembre 2017, n. 4176).
Oltre alla pronuncia del giudice che espressamente abbia escluso la responsabilità del dipendente, l’art. 18 ha disciplinato un ulteriore presupposto per la spettanza del beneficio, e cioè la sussistenza di una connessione tra i fatti e gli atti oggetto del giudizio e l’espletamento del servizio e l’assolvimento degli obblighi istituzionali: l’art. 18 si applica a favore del dipendente che abbia agito in nome e per conto, oltre che nell’interesse della Amministrazione (e cioè quando per la condotta oggetto del giudizio sia ravvisabile il ‘nesso di immedesimazione organica’).
Tale connessione sussiste – sia pure in modo peculiare - qualora sia stata contestata al dipendente la violazione dei doveri di istituto e, all’esito del procedimento, il giudice abbia constatato non solo l’assenza della responsabilità, ma che esso sia sorto in esclusiva conseguenza di condotte illecite di terzi, di natura diffamatoria o calunniosa, oppure qualificabili come un millantato credito (si pensi al funzionario, al dirigente o al magistrato accusato di corruzione, ma in realtà del tutto estraneo ai fatti, perché vittima di una orchestrata attività calunniosa o di un millantato credito emerso dopo l’attivazione del procedimento penale).
Sotto tale profilo, l’art. 18 tutela senz’altro – col rimborso delle spese sostenute - il dipendente statale che sia stato costretto a difendersi, pur innocente, nel corso del procedimento penale nel quale – esclusivamente in ragione del suo status e non per l’aver posto in essere specifici atti - sia stato coinvolto nel procedimento penale perché sostanzialmente vittima di illecite condotte altrui, che per un qualsiasi motivo illecito hanno coinvolto il dipendente, a maggior ragione se è stato designato come vittima proprio quale appartenente alle Istituzioni e per il servizio prestato.
Qualora in tali casi il giudice penale disponga il proscioglimento del dipendente statale, non rileva pertanto la natura attiva od omissiva della condotta oggetto della contestazione, perché ciò che conta è l’accertamento da parte del giudice penale dell’estraneità del dipendente ai fatti contestati, nonché il carattere diffamatorio o calunnioso delle dichiarazioni altrui.
https://www.giustizia-amministrativa.it
Imposta comunale sulla pubblicità in caso di pluralità di insegne
Sentenza del 8/07/2019 n. 64/1 - Comm. Trib. di Secondo Grado di Trento
Imposta comunale sulla pubblicità in caso di pluralità di insegne
In tema di imposta comunale sulla pubblicità relativa alle insegne di esercizio è riconosciuta l’esenzione, in caso di pluralità di insegne, nei limiti di una superficie complessiva di cinque metri quadrati e sempre che i vari mezzi pubblicitari siano collocati in connessione tra di loro. In base a tale principio, confortato anche dalla Suprema Corte con le pronunce nn. 23250/2014 e 26727/2016, la Commissione tributaria di II grado di Trento ha ribaltato l’esito del giudizio di primo grado e stabilito che l’imposta, in assenza delle su citate condizioni deve essere corrisposta e commisurata allo spazio occupato dalle singole insegne pubblicitarie. Nel caso in esame, infatti, le insegne sono poste su lati diversi dell’edificio conservando una loro forte autonomia. Di conseguenza non è possibile ravvisare tra le stesse alcun legame di relazione e interdipendenza pur avendo identico contenuto.
Testo integrale della sentenza
Imposta comunale sulla pubblicità in caso di pluralità di insegne
In tema di imposta comunale sulla pubblicità relativa alle insegne di esercizio è riconosciuta l’esenzione, in caso di pluralità di insegne, nei limiti di una superficie complessiva di cinque metri quadrati e sempre che i vari mezzi pubblicitari siano collocati in connessione tra di loro. In base a tale principio, confortato anche dalla Suprema Corte con le pronunce nn. 23250/2014 e 26727/2016, la Commissione tributaria di II grado di Trento ha ribaltato l’esito del giudizio di primo grado e stabilito che l’imposta, in assenza delle su citate condizioni deve essere corrisposta e commisurata allo spazio occupato dalle singole insegne pubblicitarie. Nel caso in esame, infatti, le insegne sono poste su lati diversi dell’edificio conservando una loro forte autonomia. Di conseguenza non è possibile ravvisare tra le stesse alcun legame di relazione e interdipendenza pur avendo identico contenuto.
Testo integrale della sentenza
https://www.giustiziatributaria.gov.it
Linee guida e procedure operative Sanzioni amministrative accessorie concernenti il veicolo. Confisca, fermo e rimozione (o blocco) ed altri istituti che comportano l’apprendimento del veicolo su strada.
Linee guida e procedure operative Sanzioni amministrative accessorie concernenti il veicolo.
Confisca, fermo e rimozione (o blocco) ed altri istituti che comportano l’apprendimento del
veicolo su strada.
Articoli 159, 207, 210, 213, 214, 214-bis, 214-ter, 215, 215-bis, 216, 217 e 224-ter del codice della strada
Confisca, fermo e rimozione (o blocco) ed altri istituti che comportano l’apprendimento del
veicolo su strada.
Articoli 159, 207, 210, 213, 214, 214-bis, 214-ter, 215, 215-bis, 216, 217 e 224-ter del codice della strada
POLIZIA ROMA CAPITALE -MASSIMO ANCILLOTTI
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E' consentito ora ad ogni esercizio di vicinato, che svolga attività di laboratorio di gastronomia, il consumo sul posto, purchè senza la predisposizione di “servizio ai tavoli”
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Pubblicato il 25/11/2019
N. 08011/2019REG.PROV.COLL.
N. 01235/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 1235 del 2019, proposto da
Daruma Centro s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Alessandro Bianconi, Paolo Giovannelli e Andrea Ippoliti, con domicilio digitale come da PEC tratta dai Registri di Giustizia;
Daruma Centro s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Alessandro Bianconi, Paolo Giovannelli e Andrea Ippoliti, con domicilio digitale come da PEC tratta dai Registri di Giustizia;
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco in carica,
rappresentata e difesa dall'avvocato Sergio Siracusa, con domicilio
eletto presso il suo studio in Roma, via del Tempio di Giove, 21;
Ministero dello Sviluppo Economico, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Ministero dello Sviluppo Economico, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE II TER n. 11516/2018, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale e del Ministero dello Sviluppo Economico;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 ottobre
2019 il Cons. Federico Di Matteo e uditi per le parti gli avvocati
Giovannelli e Siracusa, l’avvocato dello Stato Giovanni Giovanni Greco;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con verbale di accertamento 31 maggio 2018, agenti
della Polizia municipale di Roma Capitale, a seguito di sopralluogo nei
locali commerciali della Daruma Centro s.r.l., titolare di esercizio di
vicinato per lo svolgimento di laboratorio di gastronomia, constatavano
che “oltre la metà dei locali è ingombra di piani di appoggio con
sedute abbinate, sono comunque presenti arredi e relative modalità di
utilizzo che consentono la consumazione come seduti al tavolo con
caratteristiche di richiamo quantitativo della clientela e permanenza
nel luogo di consumo. Si è notato, inoltre, l’assenza di bilancia e
l’indicazione dei prezzi di vendita non per unità di misura”.
1.1. Alla luce delle riportate circostanze fattuali
gli agenti ritenevano che Daruma Centro s.r.l. avesse, in realtà,
avviato un esercizio di somministrazione di alimenti e bevande in
assenza di idoneo titolo abilitativo (indicato come “autorizzazione amministrativa o Scia”)
e trasmettevano rapporto alla competente Direzione che adottava la
determinazione dirigenziale 18 settembre 2018 n. CA/2798/2018 di
cessazione dell’attività di somministrazione al pubblico di alimenti e
bevande entro quindici giorni dalla notifica dell’atto.
2. Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale
per il Lazio Daruma Centro s.r.l., impugnava il predetto provvedimento
per contrasto con l’art. 3, comma 1, lett. f) - bis d.l. 4 aprile
2006, n. 223 conv. in l. 4 agosto 2006, n. 248 per aver, quest’ultima
disposizione, eliminato ogni divieto al consumo immediato dei prodotti
di gastronomia presso esercizi di vicinato, con l’utilizzo di locali e
arredi dell’azienda, ad esclusione del servizio assistito di
somministrazione e con l’osservanza delle prescrizioni igienico
sanitarie.
2.1. La ricorrente contestava, poi, la violazione
dell’art. 1 d.l. 24 gennaio 2012, n. 1 (c.d. decreto liberalizzazioni)
conv. in l. 24 marzo 2012, n. 27, che aveva operato, a suo dire, il
superamento di ogni disposizione contenente “divieti, restrizioni, oneri o condizioni all'accesso”
all’esercizio di attività economiche, ivi comprese, pertanto, quelle
riferite agli esercizi di vicinato svolgenti attività di laboratorio di
gastronomia. A sostegno della sua tesi la ricorrente citava, altresì, il
parere reso dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato 5
dicembre 2016.
2.2. Oggetto di contestazione, inoltre, era anche la
Risoluzione del Ministero dello sviluppo economico 28 novembre 2016 n.
372321, espressamente richiamata nel provvedimento impugnato, che, in
relazione alle condizioni legittimanti il consumo sul posto dei prodotti
di gastronomia in caso di esercizi di vicinato, si soffermava sugli
arredi, con prescrizione di non abbinabilità di “piani e sedute”, nel senso che “l’utilizzo
congiunto della seduta e del piano d’appoggio non deve risultare
normalmente possibile (ad esempio, per le diverse altezze dei medesimi)
in modo che sia consentito ai fruitori il consumo degli alimenti e delle
bevande da seduti (ma non al tavolo) ovvero appoggiando i prodotti su
un piano (ma senza poterlo utilizzare da seduti)”.
La ricorrente lamentava la violazione dell’art. 117
Cost. per aver l’Amministrazione statale dettato prescrizioni in materia
di commercio, riservata alle Regioni e ai Comuni, nonché il superamento
dei limiti consentiti all’attività amministrativa, per aver, a mezzo
circolari, integrato il dettato normativo (e, precisamente, il
richiamato art. 3, comma 1, lett. f) – bis d.l. n. 223/2006), che vieta, unicamente, che l’attività di consumo in esercizi di vicinato si svolga con il “servizio ai tavoli”.
2.3. Da ultimo, la ricorrente rilevava il contrasto
del provvedimento impugnato con il Regolamento per l’esercizio delle
attività commerciali ed artigianali nel territorio della Città Storica,
approvato da Roma Capitale il 3 maggio 2018, che, all’art. 5, aveva
introdotto una disciplina degli arredi degli esercizi di vicinato con
consumo sul posto dei pasti, compatibile con la tipologia di arredi
presenti nel locale in cui era svolta la sua attività (arredi minimali;
che non possono coincidere con le attrezzature tradizionalmente
utilizzate negli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande e
devono garantire condizioni minime di fruibilità).
2.4. Il giudizio di primo grado, cui prendeva parte
Roma Capitale e nel quale si costituiva il Ministero dello sviluppo
economico, era concluso dalla sentenza, sez. II – ter, 28 novembre 2018, n. 11516, di reiezione del ricorso e compensazione delle spese di lite.
2.4.1. Il Tribunale, preliminarmente, delimitava la
questione posta dal giudizio nell’esatta individuazione dei presupposti e
limiti che consentono, agli esercenti un’attività di vendita di
prodotti alimentari da asporto, il consumo sul posto degli alimenti,
senza incorrere nell’esercizio abusivo dell’attività commerciale.
2.4.2. Definito in maniera puntuale il quadro
normativo di riferimento, era richiamato il precedente della medesima
Sezione, 5 gennaio 2016, n. 100, e le situazioni, ivi riepilogate
(perchè già colte in precedenti pronunce), rivelatrici di un’attività di
somministrazione per il consumo sul posto, ovvero: a) la disposizione
delle sedute e dei tavoli munite di apparecchiature per il consumo dei
pasti con stoviglie e bevande; b) la presenza di un rilevante numero di
tavoli e sedie apparecchiati con stoviglie lavabili e menù che
pubblicizzano prodotti al piatto con carta dei vini per la
somministrazione; c) la presenza di una macchina per il caffè, erogatori
di birra alla spina; d) un contesto connotato da un banco-bar
attrezzato con relativo addetto, arredi funzionali alla somministrazione
distribuiti sull’intera superficie utile del locale, modalità di
offerta/esposizione delle bottiglie di alcoli, analcolici,
superalcolici, uso di bottiglie con appositi dosatori a beccuccio per il
tipo di mescita al banco, esposizione prezzi cocktails e prodotti da
bar in genere, modalità di consumo delle bevande da parte degli
avventori mediante banco lungo con sgabelli.
2.4.3. In relazione all’attività svolta dalla
ricorrente, il giudice di primo grado riteneva non irragionevole il
convincimento dell’amministrazione secondo il quale l’offerta era
orientata ad un consumo sul posto con modalità similari o coincidenti
con la somministrazione assistita, piuttosto che alla mera vendita di
pasti, per: a) la presenza di arredi idonei di per sé a consentire la
somministrazione assistita – intesa in senso “funzionale” vale a
dire come organizzazione dell’offerta orientata a favorire la
consumazione sul posto del prodotto – senza che rilevi l’altezza
maggiore dei tavoli e delle sedie, trattandosi di caratteristica
meramente di stile; b) l’indicazione dei prodotti offerti in modalità
non compatibile con la vendita da asporto, che presuppone la pesatura
delle porzioni e quindi la bilancia e la indicazione dei prezzi per
peso.
2.4.4. Da ultimo, in relazione alle novità introdotte
dal nuovo Regolamento approvato da Roma Capitale, il giudice esaminava,
principalmente, la possibilità per la ricorrente di giovarsi del periodo
di adeguamento (di un anno) riconosciuta agli esercenti per adeguarsi
alle nuove disposizioni, che, tuttavia, escludeva nel caso di specie,
poiché non era, comunque, consentita a coloro che, precedentemente
avevano condotto attività irregolari o non corrispondenti al previgente
quadro normativo.
3. Propone appello Daruma Centro s.r.l.; si è
costituita in giudizio Roma Capitale. Le parti hanno presentato memorie
ex art. 73 Cod. proc. amm., e Daruma centro s.r.l. anche rituale
replica. All’udienza del 29 ottobre 2019, la causa è stata trattenuta in
decisione.
3.1. Con il proprio atto di appello, articolato in sei
motivi, Daruma Centro s.r.l. contesta la sentenza di primo grado per
aver respinto i motivi del ricorso, che vengono, pertanto,
sostanzialmente riproposti in questa sede.
La tesi dell’appellante è che, per la previsione del già richiamato art. 3, comma 1, lett. f – bis
d.l. 4 aprile 2006, n. 223 conv. in l. 4 agosto 2006, n. 248, è
consentito ora ad ogni esercizio di vicinato, che svolga attività di
laboratorio di gastronomia, il consumo sul posto, purchè senza la
predisposizione di “servizio ai tavoli”, pena, solo in
quest’ultimo caso, la ricorrenza di un’attività di somministrazione di
alimenti e bevande con conseguente necessità di munirsi di ulteriore
titolo abilitativo. Trae rafforzamento tale convincimento anche dalle
disposizioni normative di liberalizzazione del mercato, rivolte ad
ampliare le possibilità dell’attività imprenditoriale.
4. Il motivo è fondato.
4.1. La questione posta dal motivo d’appello – le
condizioni alle quali è consentito ai titolari di esercizio di vicinato
alimentare di permettere il consumo sul posto degli alimenti alla
propria clientela – è stata esaminata in maniera approfondita da questa
Sezione nella sentenza 8 aprile 2019, n. 2280, dalle cui conclusioni non
v’è ragione di discostarsi.
4.2. La richiamata pronuncia ha fissato il principio
generale per il quale negli esercizi di vicinato, allorché legittimati
alla vendita dei prodotti appartenenti al settore merceologico
alimentare, è ammesso il consumo sul posto di prodotti di gastronomia, purché in assenza del servizio “assistito” di somministrazione.
Il “servizio assistito” di cui al citato art. 3, comma 1, lett. f – bis,
d.l. 223/2006 è stato, quindi, identificato nell’offerta da parte del
gestore di un servizio ai tavoli ad opera di personale impiegato nel
locale e così in senso più strettamente letterale e non, invece, in
senso “funzionale” come dalla pronuncia impugnata, come organizzazione
dell’offerta da parte del gestore rivolta, nel suo complesso – e,
dunque, anche in ragione delle modalità di strutturazione del locale – a
favorire la consumazione sul posto dei prodotti di gastronomia.
4.3. Ne segue, quale logica conseguenza, che per l’interpretazione accolta di “servizio assistito”
è del tutto irrilevante la predisposizione degli arredi all’interno del
locale, poiché, in assenza di personale ai tavoli, non è impedito che
il mero consumo in loco del prodotto acquistato possa avvenire
servendosi materialmente di suppellettili ed arredi, anche dedicati,
presenti nell’esercizio commerciale, ossia in primis tavoli e sedie, ma a
rigore anche tovaglioli o stoviglie, la cui generale messa a
disposizione per uso autonomo e diretto di per sé non integra un
servizio di assistenza al tavolo, ben potendo essere utilizzati anche
dagli acquirenti che decidano di non fermarsi nel locale.
4.4. Le Risoluzioni ministeriali che incentrano
l’elemento distintivo fra attività di somministrazione di alimenti e
bevande e attività di vendita sulla modalità di consumo dell’offerta, in
particolare sull’attrezzatura utilizzabile per consentire il consumo
sul posto, si pongono in contrasto, pertanto, con il dato normativo
precedentemente richiamato.
In tal senso va condivisa – come già fatto nella
sentenza di questa Sezione richiamata – la considerazione svolta
dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato nella segnalazione
27 ottobre 2016, n. S2605: “Le richiamate Risoluzioni non tengono […] conto
del fatto che già il D.L. n. 223/2006 aveva inteso superare o
quantomeno coordinare con i principi di concorrenza tutte le attività di
consumo sul posto di alimenti e bevande, individuando il discrimen tra
l’attività di somministrazione e quella di vendita da parte degli
esercizi di vicinato unicamente nella presenza o meno del servizio
assistito. Esse, inoltre, non basano l’interpretazione offerta su quanto
strettamente necessario a tutelare le esigenze di interesse generale
tipizzate dal citato D.L. n. 201/2011, quali la «tutela della salute,
dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, e dei beni
culturali» […]”.
4.5. Alla luce delle predette considerazioni,
contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza di primo grado, il
provvedimento impugnato va annullato per aver ritenuto Daruma Centro
s.r.l. esercente, senza titolo, l’attività di somministrazione di
alimenti e bevande, laddove, invece, la stessa consentiva esclusivamente
il consumo sul posto ai propri clienti nei limiti previsti dal
legislatore, vale a dire senza approntare una qualche modalità di “servizio assistito” all’interno del proprio locale, ma solo mettendo a disposizione arredi idonei allo scopo.
4.6. Da ultimo, va precisato che il Regolamento per
l’esercizio delle attività commerciali ed artigianali nel territorio
della Città Storica, approvato con deliberazione dell’Assemblea
capitolina 17 aprile 2018 n. 47 ed entrato in vigore il 18 maggio 2018,
effettivamente ha introdotto nuove disposizioni relative alle modalità
di espletamento dell’attività di esercizio di vicinato alimentare
qualora sia offerta alla clientela il consumo sul posto dei prodotti di
gastronomia.
Tuttavia, il provvedimento impugnato ha carattere
sanzionatorio, onde la sua legittimità va accertata relativamente ai
presupposti e condizioni previsti al momento della sua adozione, fermo
restando che, come evidenziato anche dal giudice di primo grado, è
imposto a tutti gli esercenti di doversi adeguare alle nuove
disposizioni nel termine ivi stabilito; di ciò, dell’avvenuto
adeguamento, non v’è, tuttavia, motivo di occuparsi nel presente
giudizio.
5. In conclusione, in riforma della sentenza di primo
grado, va accolto il ricorso proposto da Daruma Centro s.r.l. con
conseguente annullamento del provvedimento impugnato.
6. La novità degli orientamenti giurisprudenziali sui
quali è fondata l’odierna decisione giustifica la compensazione delle
spese del doppio grado del giudizio tra le parti in causa.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione
Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe
proposto, lo accoglie e, per gli effetti, in riforma della sentenza del
Tribunale amministrativo regionale per il Lazio n. 11516/2018, accoglie
il ricorso proposto in primo grado da Daruma centro s.r.l., con
conseguente annullamento degli atti impugnati.
Compensa tra tutte le parti costituite le spese del doppio grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 ottobre 2019 con l'intervento dei magistrati:
Fabio Franconiero, Presidente FF
Valerio Perotti, Consigliere
Federico Di Matteo, Consigliere, Estensore
Alberto Urso, Consigliere
Giuseppina Luciana Barreca, Consigliere
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
Federico Di Matteo | Fabio Franconiero | |
IL SEGRETARIO
Oltraggio a pubblico ufficiale in presenza di due persone
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE (REATI CONTRO LA -ARTT. 314-356 C.P.)
CP Art. 341 bis
Oltraggio a pubblico ufficiale
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. VI PENALE - SENTENZA 25 novembre 2019, n.47879
CP Art. 341 bis
Oltraggio a pubblico ufficiale
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. VI PENALE - SENTENZA 25 novembre 2019, n.47879
MASSIMA
Ai fini della configurabilità del reato di oltraggio previsto dall'art. 341-bis cod. pen. è necessario che l'azione si svolga in presenza di almeno due persone, tale essendo il requisito numerico minimo perché possano ravvisarsi "più persone". Una volta che sia provata la presenza di più persone, è sufficiente la mera possibilità della percezione da parte dei presenti dell'offesa rivolta al pubblico ufficiale, atteso che già questa potenzialità costituisce un aggravio psicologico che può compromettere la sua prestazione, disturbandolo mentre compie un atto del suo ufficio, facendogli avvertire condizioni avverse, per lui e per la pubblica amministrazione di cui fa parte, e ulteriori rispetto a quelle ordinarie.
TESTO DELLA SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. VI PENALE - SENTENZA 25 novembre 2019, n.47879 - Pres. Diotallevi – est. Bassi
Ritenuto in fatto
1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte d'appello di Perugia in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Perugia in data 26 gennaio 2016, ha ridotto a mesi quattro di reclusione la pena inflitta in primo grado per il reato di cui all'art. 341-bis cod. pen. ed ha confermato nel resto la decisione, con la quale l'imputato è stato condannato, perché offendeva in luogo pubblico l'onore ed il prestigio del Vice Brig. Ti. Gi. nell'esercizio delle sue funzioni (in particolare, all'uscita dallo stadio dopo una partita di calcio, Ra. sputava in terra in direzione del militare e, dopo che questi l'aveva invitato a cessare qualsivoglia provocazione, proferiva al suo indirizzo l'espressione 'ma tu sei ubriaco, tu sei ubriaco').
1.1. A sostegno della decisione, la Corte distrettuale ha rilevato come la responsabilità penale del prevenuto risulti provata alla luce delle testimonianze dei Vice Brig. So. e Ri., colleghi della persona offesa presenti all'accaduto, in assenza di riscontri idonei a corroborare la ricostruzione alternativa proposta dall'imputato. Il Giudice del gravame ha aggiunto che risultano indimostrati i pregressi episodi di acredine tra l'imputato e la persona offesa ventilati dalla difesa e che non sono emersi elementi per far ritenere l'espressione del Ra. giustificata alla luce di una provocazione posta in essere da parte del Vice Brig. Ti., risultando, pertanto, inapplicabile la causa di non punibilità di cui all'art. 393 bis cod. pen.
Tanto premesso, la Corte d'appello ha ritenuto fondato il motivo in punto di trattamento sanzionatorio e, rilevata l'eccessiva gravità della pena inflitta in primo grado, l'ha ridotta nei termini sopra indicati.
2. Nel ricorso a firma del difensore di fiducia, No. Ra. chiede l'annullamento del provvedimento per i motivi di seguito sintetizzati ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 521 e 129, comma 2, cod. proc. pen. e 133 cod. pen.
A sostegno del motivo, il ricorrente evidenzia, da un lato, come la contestazione di oltraggio a pubblico ufficiale di cui al decreto che dispone il giudizio concerna esclusivamente l'utilizzo dell'espressione 'ma tu sei ubriaco, tu sei ubriaco' e non anche il mero antefatto penalmente irrilevante dello sputare, di tal che l'estensione del giudizio di penale responsabilità anche in relazione a tale condotta sostanzia una chiara violazione del principio di necessaria correlazione fra contestazione e sentenza, dunque del diritto di difesa e del principio dell'equo processo. Dall'altro lato, la difesa rimarca come non vi sia comunque prova dell'episodio dello sputo.
2.2. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 341-bis cod. pen. e 3 Cost. nonché mancanza o insufficienza della motivazione.
Al riguardo, il ricorrente evidenzia, da una parte, come la Corte d'appello abbia erroneamente stimato irrilevanti i precedenti contrasti tra la persona offesa e l'imputato, in quanto tali da inquadrare l'espressione utilizzata dal Ri. come lesiva, non del prestigio e della funzione esercitata, ma -eventualmente - soltanto dell'onore della singola persona offesa; dall'altra parte, come l'espressione ritenuta oltraggiosa non sia a ben vedere idonea ad offendere i beni giuridici tutelati dalla norma, alla luce dell'evoluzione del costume e ai conseguenti orientamenti giurisprudenziali. Infine, rimarca come manchi l'elemento del compimento di un atto di ufficio.
2.3. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all'art. 341-bis cod. pen. e vizio di motivazione, per avere la Corte di merito omesso di considerare che la condotta contestata non veniva percepita da soggetti estranei alle forze dell'ordine, non potendosi evincere la prova della percezione dalla mera circostanza che il fatto avvenisse in uno stadio alla fine di una partita.
2.4. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all'art. 393-bis cod. pen. e vizio di motivazione, per avere i giudici della cognizione erroneamente escluso gli estremi dell'atto arbitrario ex art. 393-bis cod. pen.
2.5. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all'art. 133 cod. pen., per avere la Corte distrettuale, per un verso, omesso di ponderare l'effettiva gravità dei fatti, alla luce delle circostanze del caso concreto e della personalità dell'imputato; per altro verso, applicato una pena superiore al minimo edittale senza esplicitarne le ragioni.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito esposte.
2. All'evidenza destituito di fondamento è il primo motivo con cui il ricorrente denuncia la violazione del principio di necessaria correlazione fra contestazione e sentenza con riguardo alla condotta dello sputare all'indirizzo del pubblico ufficiale, che precedeva la frase offensiva 'ma tu sei ubriaco, tu sei ubriaco'.
2.1. Mette conto di rammentare preliminarmente come la violazione del principio invocato dalla difesa ricorre allorquando il giudice pronunci condanna in relazione ad una fattispecie concreta, nella sua dimensione storico-fattuale, diversa da quella descritta nel decreto che dispone il giudizio ovvero risultante all'esito delle contestazioni suppletive. Secondo l'insegnamento di questa Suprema Corte, espresso anche a Sezioni Unite, per aversi mutamento del fatto occorre infatti una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051).
2.2. Sulla scorta delle sopra delineate coordinate ermeneutiche, nessuna violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza è ravvisabile nel caso in oggetto. Ed invero, dalla lettura dell'imputazione, emerge per tabulas la contestazione in fatto dell'indicata condotta - quale antefatto della frase offensiva e segmento integrante il complessivo comportamento oltraggioso in danno del militare -, di tal che non è revocabile in dubbio che Ra. abbia potuto svolgere appieno le proprie difese anche in relazione ad essa.
3. Al pari inammissibile è il secondo rilievo mosso con il primo motivo, in quanto, per un verso, risulta meramente reiterativo di una doglianza già dedotta in appello senza alcun confronto con la compiuta e lineare motivazione svolta dai Giudici della cognizione, con ciò omettendo di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e altri, Rv. 243838); per altro verso, è teso a sollecitare una rilettura delle emergenze processuali, non consentita in questa Sede (ex plurimis Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074).
3.1. Ad ogni modo, la Corte territoriale ha bene argomentato le ragioni per le quali abbia ritenuto comprovata la materialità del sopra delineato antefatto, con considerazioni aderenti alle emergenze dell'incartamento processuale (dichiarazioni rese dai testi presenti all'accaduto), lineari e conformi a logica e, pertanto, incensurabili in questa Sede (v. pagine 3 e seguenti della sentenza impugnata).
4. Analoghe considerazioni valgono con riguardo al secondo motivo, con cui il ricorrente contesta l'integrazione della fattispecie evidenziando, da un lato, l'assenza di offensività nella frase profferita all'indirizzo della persona offesa - in quanto, a suo avviso, inidonea ad offendere i beni giuridici tutelati dalla norma, alla luce dell'evoluzione del costume e ai conseguenti orientamenti giurisprudenziali -; dall'altro lato, la riconducibilità della vicenda a pregresse ruggini fra l'imputato e la persona offesa, mancando ad ogni modo il requisito del compimento di un atto di ufficio.
4.1. Oltre a tradursi in un'acritica riproposizione delle medesime doglianze già sottoposte al vaglio del Giudice del gravame - con conseguente loro aspecificità -, il motivo risulta all'evidenza destituito di fondamento, là dove la Corte territoriale, per un verso, ha escluso che sia provata in fatto la ventilata acredine tra le parti; per altro verso, ha convincentemente argomentato la natura offensiva del complessivo contegno del prevenuto nel mentre il Carabiniere era intento al compimento di un atto d'ufficio, id est lo svolgimento del servizio d'ordine pubblico in occasione di una manifestazione sportiva (v. pagina 3 della sentenza impugnata).
5. Palesemente destituita di fondamento è la terza doglianza con cui la difesa contesta che l'offesa possa essere stata percepita da soggetti estranei alle forze dell'ordine.
5.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte regolatrice, ai fini della configurabilità del reato di oltraggio previsto dall'art. 341-bis cod. pen. è necessario che l'azione si svolga in presenza di almeno due persone (Sez. 6, n. 16527 del 30/01/2017, Ciotti, Rv. 270581), tale essendo il requisito numerico minimo perché possano ravvisarsi 'più persone'.
Una volta che sia provata la presenza di più persone, ai fini della configurabilità del reato di oltraggio di cui all'art. 341-bis cod. pen. è però sufficiente la mera possibilità della percezione dell'offesa da parte dei presenti. (Sez. 6, n. 29406 del 06/06/2018, Ramondo, Rv. 273466), atteso che già questa potenzialità costituisce un aggravio psicologico che può compromettere la sua prestazione, disturbandolo mentre compie un atto del suo ufficio, facendogli avvertire condizioni avverse, per lui e per la pubblica amministrazione di cui fa parte, e ulteriori rispetto a quelle ordinarie (Sez. 6, n. 15440 del 17/03/2016, Saad, Rv. 266546; Sez. 6, n. 19010 del 28/03/2017, Trombetta, Rv. 269828).
5.2. Delle sopra delineate coordinate ermeneutiche ha fatto buon governo la Corte distrettuale nel dare risposta all'omologa deduzione mossa dal Ra. in appello, nella parte in cui ha correttamente rilevato come - secondo la pacifica ricostruzione storico-fattuale (compiuta sulla base delle convergenti dichiarazioni rese dai testi oculari acquisiti al processo) - la vicenda sub iudice si svolgesse nel momento in cui l'imputato ed altri spettatori iniziavano a defluire dallo stadio, di guisa che, sulla scorta della regula iuris suddetta, una volta accertata la presenza di più persone, risultava consequenziale la possibilità di percezione dell'offesa da parte dei presenti (v. pagine 3 e 4 della sentenza impugnata).
6. Quanto al quarto motivo, inappuntabile è il passaggio argomentativo col quale la Corte distrettuale ha stimato insussistenti i presupposti per l'invocata causa di non punibilità ex art. 393-bis cod. pen., motivatamente escludendo la materialità della prospettata provocazione (richiamato sul punto quanto già osservato sub paragrafo 4.1).
Ciò a tacer del fatto che siffatta causa di giustificazione presuppone necessariamente un'attività ingiustamente persecutoria del pubblico ufficiale, il cui comportamento fuoriesca del tutto dalle ordinarie modalità di esplicazione dell'azione di controllo e prevenzione demandatagli nei confronti del privato destinatario (Sez. 6, n. 16101 del 18/03/2016, Bonomi e altro, Rv. 266535), che neanche il ricorrente delinea essersi realizzata nella specie.
7. E' inammissibile anche l'ultimo motivo di ricorso concernente il trattamento sanzionatorio.
7.1. Va invero rammentato al riguardo che, come più volte affermato da questa Corte, la determinazione della pena entro il minimo e il massimo edittale rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed è pertanto insindacabile nella sede di legittimità allorché non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, Ferrano Rv. 259142). Arbitrio ed irragionevolezza che non sono certamente ravvisabili nel discorso giustificativo svolto dal Giudice a quo a fondamento della pena inflitta in sentenza, là dove la Corte d'appello ha espressamente indicato le ragioni per le quali la pena-base non potesse coincidere col minimo edittale a causa dei precedenti penali del reo, procedendo nondimeno alla riduzione del trattamento sanzionatorio applicato dal primo Giudice alla luce delle modalità del fatto e delle circostanze del caso concreto (v. pagina 5 della sentenza impugnata).
8. Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente, oltre che al pagamento delle spese del procedimento, anche a versare una somma, che si ritiene congruo determinare in duemila Euro.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.
Ai fini della configurabilità del reato di oltraggio previsto dall'art. 341-bis cod. pen. è necessario che l'azione si svolga in presenza di almeno due persone, tale essendo il requisito numerico minimo perché possano ravvisarsi "più persone". Una volta che sia provata la presenza di più persone, è sufficiente la mera possibilità della percezione da parte dei presenti dell'offesa rivolta al pubblico ufficiale, atteso che già questa potenzialità costituisce un aggravio psicologico che può compromettere la sua prestazione, disturbandolo mentre compie un atto del suo ufficio, facendogli avvertire condizioni avverse, per lui e per la pubblica amministrazione di cui fa parte, e ulteriori rispetto a quelle ordinarie.
TESTO DELLA SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. VI PENALE - SENTENZA 25 novembre 2019, n.47879 - Pres. Diotallevi – est. Bassi
Ritenuto in fatto
1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte d'appello di Perugia in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Perugia in data 26 gennaio 2016, ha ridotto a mesi quattro di reclusione la pena inflitta in primo grado per il reato di cui all'art. 341-bis cod. pen. ed ha confermato nel resto la decisione, con la quale l'imputato è stato condannato, perché offendeva in luogo pubblico l'onore ed il prestigio del Vice Brig. Ti. Gi. nell'esercizio delle sue funzioni (in particolare, all'uscita dallo stadio dopo una partita di calcio, Ra. sputava in terra in direzione del militare e, dopo che questi l'aveva invitato a cessare qualsivoglia provocazione, proferiva al suo indirizzo l'espressione 'ma tu sei ubriaco, tu sei ubriaco').
1.1. A sostegno della decisione, la Corte distrettuale ha rilevato come la responsabilità penale del prevenuto risulti provata alla luce delle testimonianze dei Vice Brig. So. e Ri., colleghi della persona offesa presenti all'accaduto, in assenza di riscontri idonei a corroborare la ricostruzione alternativa proposta dall'imputato. Il Giudice del gravame ha aggiunto che risultano indimostrati i pregressi episodi di acredine tra l'imputato e la persona offesa ventilati dalla difesa e che non sono emersi elementi per far ritenere l'espressione del Ra. giustificata alla luce di una provocazione posta in essere da parte del Vice Brig. Ti., risultando, pertanto, inapplicabile la causa di non punibilità di cui all'art. 393 bis cod. pen.
Tanto premesso, la Corte d'appello ha ritenuto fondato il motivo in punto di trattamento sanzionatorio e, rilevata l'eccessiva gravità della pena inflitta in primo grado, l'ha ridotta nei termini sopra indicati.
2. Nel ricorso a firma del difensore di fiducia, No. Ra. chiede l'annullamento del provvedimento per i motivi di seguito sintetizzati ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 521 e 129, comma 2, cod. proc. pen. e 133 cod. pen.
A sostegno del motivo, il ricorrente evidenzia, da un lato, come la contestazione di oltraggio a pubblico ufficiale di cui al decreto che dispone il giudizio concerna esclusivamente l'utilizzo dell'espressione 'ma tu sei ubriaco, tu sei ubriaco' e non anche il mero antefatto penalmente irrilevante dello sputare, di tal che l'estensione del giudizio di penale responsabilità anche in relazione a tale condotta sostanzia una chiara violazione del principio di necessaria correlazione fra contestazione e sentenza, dunque del diritto di difesa e del principio dell'equo processo. Dall'altro lato, la difesa rimarca come non vi sia comunque prova dell'episodio dello sputo.
2.2. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 341-bis cod. pen. e 3 Cost. nonché mancanza o insufficienza della motivazione.
Al riguardo, il ricorrente evidenzia, da una parte, come la Corte d'appello abbia erroneamente stimato irrilevanti i precedenti contrasti tra la persona offesa e l'imputato, in quanto tali da inquadrare l'espressione utilizzata dal Ri. come lesiva, non del prestigio e della funzione esercitata, ma -eventualmente - soltanto dell'onore della singola persona offesa; dall'altra parte, come l'espressione ritenuta oltraggiosa non sia a ben vedere idonea ad offendere i beni giuridici tutelati dalla norma, alla luce dell'evoluzione del costume e ai conseguenti orientamenti giurisprudenziali. Infine, rimarca come manchi l'elemento del compimento di un atto di ufficio.
2.3. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all'art. 341-bis cod. pen. e vizio di motivazione, per avere la Corte di merito omesso di considerare che la condotta contestata non veniva percepita da soggetti estranei alle forze dell'ordine, non potendosi evincere la prova della percezione dalla mera circostanza che il fatto avvenisse in uno stadio alla fine di una partita.
2.4. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all'art. 393-bis cod. pen. e vizio di motivazione, per avere i giudici della cognizione erroneamente escluso gli estremi dell'atto arbitrario ex art. 393-bis cod. pen.
2.5. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all'art. 133 cod. pen., per avere la Corte distrettuale, per un verso, omesso di ponderare l'effettiva gravità dei fatti, alla luce delle circostanze del caso concreto e della personalità dell'imputato; per altro verso, applicato una pena superiore al minimo edittale senza esplicitarne le ragioni.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito esposte.
2. All'evidenza destituito di fondamento è il primo motivo con cui il ricorrente denuncia la violazione del principio di necessaria correlazione fra contestazione e sentenza con riguardo alla condotta dello sputare all'indirizzo del pubblico ufficiale, che precedeva la frase offensiva 'ma tu sei ubriaco, tu sei ubriaco'.
2.1. Mette conto di rammentare preliminarmente come la violazione del principio invocato dalla difesa ricorre allorquando il giudice pronunci condanna in relazione ad una fattispecie concreta, nella sua dimensione storico-fattuale, diversa da quella descritta nel decreto che dispone il giudizio ovvero risultante all'esito delle contestazioni suppletive. Secondo l'insegnamento di questa Suprema Corte, espresso anche a Sezioni Unite, per aversi mutamento del fatto occorre infatti una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051).
2.2. Sulla scorta delle sopra delineate coordinate ermeneutiche, nessuna violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza è ravvisabile nel caso in oggetto. Ed invero, dalla lettura dell'imputazione, emerge per tabulas la contestazione in fatto dell'indicata condotta - quale antefatto della frase offensiva e segmento integrante il complessivo comportamento oltraggioso in danno del militare -, di tal che non è revocabile in dubbio che Ra. abbia potuto svolgere appieno le proprie difese anche in relazione ad essa.
3. Al pari inammissibile è il secondo rilievo mosso con il primo motivo, in quanto, per un verso, risulta meramente reiterativo di una doglianza già dedotta in appello senza alcun confronto con la compiuta e lineare motivazione svolta dai Giudici della cognizione, con ciò omettendo di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e altri, Rv. 243838); per altro verso, è teso a sollecitare una rilettura delle emergenze processuali, non consentita in questa Sede (ex plurimis Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074).
3.1. Ad ogni modo, la Corte territoriale ha bene argomentato le ragioni per le quali abbia ritenuto comprovata la materialità del sopra delineato antefatto, con considerazioni aderenti alle emergenze dell'incartamento processuale (dichiarazioni rese dai testi presenti all'accaduto), lineari e conformi a logica e, pertanto, incensurabili in questa Sede (v. pagine 3 e seguenti della sentenza impugnata).
4. Analoghe considerazioni valgono con riguardo al secondo motivo, con cui il ricorrente contesta l'integrazione della fattispecie evidenziando, da un lato, l'assenza di offensività nella frase profferita all'indirizzo della persona offesa - in quanto, a suo avviso, inidonea ad offendere i beni giuridici tutelati dalla norma, alla luce dell'evoluzione del costume e ai conseguenti orientamenti giurisprudenziali -; dall'altro lato, la riconducibilità della vicenda a pregresse ruggini fra l'imputato e la persona offesa, mancando ad ogni modo il requisito del compimento di un atto di ufficio.
4.1. Oltre a tradursi in un'acritica riproposizione delle medesime doglianze già sottoposte al vaglio del Giudice del gravame - con conseguente loro aspecificità -, il motivo risulta all'evidenza destituito di fondamento, là dove la Corte territoriale, per un verso, ha escluso che sia provata in fatto la ventilata acredine tra le parti; per altro verso, ha convincentemente argomentato la natura offensiva del complessivo contegno del prevenuto nel mentre il Carabiniere era intento al compimento di un atto d'ufficio, id est lo svolgimento del servizio d'ordine pubblico in occasione di una manifestazione sportiva (v. pagina 3 della sentenza impugnata).
5. Palesemente destituita di fondamento è la terza doglianza con cui la difesa contesta che l'offesa possa essere stata percepita da soggetti estranei alle forze dell'ordine.
5.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte regolatrice, ai fini della configurabilità del reato di oltraggio previsto dall'art. 341-bis cod. pen. è necessario che l'azione si svolga in presenza di almeno due persone (Sez. 6, n. 16527 del 30/01/2017, Ciotti, Rv. 270581), tale essendo il requisito numerico minimo perché possano ravvisarsi 'più persone'.
Una volta che sia provata la presenza di più persone, ai fini della configurabilità del reato di oltraggio di cui all'art. 341-bis cod. pen. è però sufficiente la mera possibilità della percezione dell'offesa da parte dei presenti. (Sez. 6, n. 29406 del 06/06/2018, Ramondo, Rv. 273466), atteso che già questa potenzialità costituisce un aggravio psicologico che può compromettere la sua prestazione, disturbandolo mentre compie un atto del suo ufficio, facendogli avvertire condizioni avverse, per lui e per la pubblica amministrazione di cui fa parte, e ulteriori rispetto a quelle ordinarie (Sez. 6, n. 15440 del 17/03/2016, Saad, Rv. 266546; Sez. 6, n. 19010 del 28/03/2017, Trombetta, Rv. 269828).
5.2. Delle sopra delineate coordinate ermeneutiche ha fatto buon governo la Corte distrettuale nel dare risposta all'omologa deduzione mossa dal Ra. in appello, nella parte in cui ha correttamente rilevato come - secondo la pacifica ricostruzione storico-fattuale (compiuta sulla base delle convergenti dichiarazioni rese dai testi oculari acquisiti al processo) - la vicenda sub iudice si svolgesse nel momento in cui l'imputato ed altri spettatori iniziavano a defluire dallo stadio, di guisa che, sulla scorta della regula iuris suddetta, una volta accertata la presenza di più persone, risultava consequenziale la possibilità di percezione dell'offesa da parte dei presenti (v. pagine 3 e 4 della sentenza impugnata).
6. Quanto al quarto motivo, inappuntabile è il passaggio argomentativo col quale la Corte distrettuale ha stimato insussistenti i presupposti per l'invocata causa di non punibilità ex art. 393-bis cod. pen., motivatamente escludendo la materialità della prospettata provocazione (richiamato sul punto quanto già osservato sub paragrafo 4.1).
Ciò a tacer del fatto che siffatta causa di giustificazione presuppone necessariamente un'attività ingiustamente persecutoria del pubblico ufficiale, il cui comportamento fuoriesca del tutto dalle ordinarie modalità di esplicazione dell'azione di controllo e prevenzione demandatagli nei confronti del privato destinatario (Sez. 6, n. 16101 del 18/03/2016, Bonomi e altro, Rv. 266535), che neanche il ricorrente delinea essersi realizzata nella specie.
7. E' inammissibile anche l'ultimo motivo di ricorso concernente il trattamento sanzionatorio.
7.1. Va invero rammentato al riguardo che, come più volte affermato da questa Corte, la determinazione della pena entro il minimo e il massimo edittale rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed è pertanto insindacabile nella sede di legittimità allorché non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, Ferrano Rv. 259142). Arbitrio ed irragionevolezza che non sono certamente ravvisabili nel discorso giustificativo svolto dal Giudice a quo a fondamento della pena inflitta in sentenza, là dove la Corte d'appello ha espressamente indicato le ragioni per le quali la pena-base non potesse coincidere col minimo edittale a causa dei precedenti penali del reo, procedendo nondimeno alla riduzione del trattamento sanzionatorio applicato dal primo Giudice alla luce delle modalità del fatto e delle circostanze del caso concreto (v. pagina 5 della sentenza impugnata).
8. Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente, oltre che al pagamento delle spese del procedimento, anche a versare una somma, che si ritiene congruo determinare in duemila Euro.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.
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