sabato 8 agosto 2015

Sale pubbliche da gioco: incompetenza sindacale ed eccesso di potere

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V, 1 agosto 2015, n. 3778

Una S.p.A., concessionaria del servizio di gestione telematica del gioco, mediante slot machines e video-lotterie, impugnava avanti al TAR Campania un’ordinanza, che, nel disciplinare gli orari degli esercizi commerciali e di pubblici esercizi, aggiungeva all’elenco gli orari di apertura e chiusura delle sale pubbliche da gioco e, con successivi motivi aggiunti, l’ordinanza del 24 marzo 2011, integrativa della precedente, nella parte in cui il Sindaco di Salerno aveva “ridisciplinato, in senso più restrittivo, gli orari di apertura delle sale pubbliche da gioco e di scommesse, aggiungendo anche l’ulteriore limite degli orari di utilizzo dei video-giochi e slot-machine, posti all’interno di altri esercizi commerciali e pubblici esercizi, prescindendo dagli orari di apertura di questi ultimi”.
La ricorrente assumeva l’illegittimità per incompetenza sindacale in subiecta materia per molteplici profili di violazione di legge e dell’art. 50, 7° comma del D.Lgs. n. 267/2000 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali) e per eccesso di potere.

Il T.A.R. Campania respingeva il ricorso, riconoscendo la sussistenza di una competenza sindacale in ordine all’adozione dei provvedimenti impugnati ai sensi dell’art. 50, comma 7, del D.lgs. n. 267/2000. L’appellante ha, dunque, proposto appello avverso la suddetta sentenza, deducendo la violazione della riserva di legge in materia dei giochi, l’inapplicabilità degli artt. 50, comma 7, e 54, comma 4, del D.Lgs. n. 267/2000 nella fattispecie in esame, l’incompetenza del Comune e la competenza del Questore ai sensi dell’art. 88 TULPS in ordine ad attività svolte con concessionarie statali, la violazione dello stesso artt. 50, comma 7, del D.Lgs. n. 267/2000 sotto l’ulteriore profilo della carenza degli indirizzi da parte del consiglio comunale e della Regione, nonché l’eccesso di potere per carenza di motivazione, di proporzionalità e disparità di trattamento.
L’appello è tuttavia infondato.
Prima di procedere alla disamina delle varie censure prospettate da parte appellante, è necessario – ad avviso dei giudici di Palazzo Spada - esaminare il quadro normativo delineato con la sentenza della Corte Costituzionale n. 220/2014, intervenuto nelle more della definizione del presente giudizio, che si è pronunciato in ordine a tre ordinanze di rimessione del TAR per il Piemonte, con le quali, tra l’altro, era stata sollevata, in riferimento agli artt. 32 e 118 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 50, comma 7, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, “nella parte in cui tale disposizione non prevede la competenza dei Comuni ad adottare provvedimenti per limitare l'uso degli apparecchi da gioco di cui al comma 6 dell'art. 110 del regio decreto 18 giugno 1931 n. 773 (TULPS), negli esercizi autorizzati ai sensi dell'art. 86 dello stesso R.D. n. 773/1931”.
Anzitutto, la Corte ha dichiarato l'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 50, comma 7 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, sollevata in riferimento agli artt. 32 e 118 della Costituzione, concernente la configurabilità o meno di un competenza in ordine all’adozione di provvedimenti da parte degli enti locali in materia di gioco e scommessa in base al suddetto art. 50, 7° comma.
Come ampiamente chiarito, “la Corte è pervenuta a tale pronuncia di inammissibilità non per escludere la sussistenza di tale potere in base al tenore letterale di tale statuizione normativa, ma rilevando invece la non adeguata utilizzazione dei poteri interpretativi che la legge riconosce al giudice rimettente e la mancata esplorazione di diverse, pur praticabili, soluzioni ermeneutiche”.
Differentemente dalla vicenda in esame, in cui l’ordinanza sindacale non è stata preceduta dall’adozione dei criteri con delibera consiliare, nelle ordinanze di rimessione del TAR Piemonte l’impugnazione concerneva non solo l’ordinanza sindacale, ma anche la delibera consiliare, adottate ai sensi dell'art. 50, comma 7, del d.lgs. n. 267 del 2000, della cui adozione le parti ricorrenti denegavano la competenza degli enti locali a limitare l'uso degli apparecchi da gioco di cui al comma 6 dell'art. 110 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773, nonché la violazione della normativa in tema di liberalizzazione delle norme costituzionali in tema di riparto delle competenze legislative ex art. 117, secondo comma, lettera h, Cost. e degli stessi artt. 50 e 54 del d.lgs. n. 267 del 2000.
La Corte, a tal proposito, ha evidenziato l'evoluzione della giurisprudenza amministrativa, secondo cui “l'art. 50, comma 7, del d.lgs. n. 267/2000 è una statuizione di carattere generale, nel cui ambito non vi sono ragioni preclusive a ritenere rientrante anche il potere sindacale di determinazione degli orari delle sale da gioco o di accensione e spegnimento degli apparecchi durante l’orario di apertura degli esercizi, in cui i medesimi sono installati”.
Oltre a ciò, la Corte ha richiamato la giurisprudenza amministrativa (Cons. St. Sez. IV sentenza n. 2710/2012), secondo cui l'esercizio del potere di pianificazione non può essere inteso solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, ma deve essere ricostruito come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo, che tenga conto sia delle potenzialità edificatorie dei suoli, sia di valori ambientali e paesaggistici, sia di esigenze di tutela della salute e quindi della vita salubre degli abitanti.
A fronte di un tale ampliamento di prospettiva, “non può disconoscersi quindi la sussistenza del potere sindacale in un ambito più limitato quale quello di cui alla controversia in esame, in cui oggetto del giudizio sono semplicemente gli orari di apertura delle sale da gioco o di accensione e spegnimento degli apparecchi durante l’orario di apertura degli esercizi, in cui i medesimi sono installati”. Alla luce di quanto chiarito, i Giudici sottolineano che “la riconosciuta sussistenza del potere sindacale di carattere generale ed ordinario ex art. 50, 7° comma, essendo di per sé esaustiva, rende irrilevante la dedotta inapplicabilità dell’art. 54 comma quattro del TUEL, invocata dalla società appellante, che va comunque condivisa, perché non si è in presenza di un’ordinanza contingibile ed urgente”. Né ha pregio, altresì, l’ulteriore profilo di censura, secondo cui “non sussisterebbe una competenza sindacale, trattandosi di materia di competenza statale e, nel caso specifico, del Questore ai sensi dell’art. 88 TULPS e dell’art. 2, comma 2 quater del D.L. n. 40/2010, convertito con L. n.73/2010”.

Oltre a quanto disposto, in ragione dell'esigenza di garantire un livello di tutela dei consumatori particolarmente elevato e di padroneggiare i rischi connessi a questo settore, la giurisprudenza europea ha ritenuto legittime restrizioni all'attività (anche contrattuale) di organizzazione e gestione dei giochi pubblici affidati in concessione, purché ispirate da motivi imperativi di interesse generale, quali sono certamente quelli evocati dall'art. 1, comma 77, della legge n. 220 del 2010 (contrasto della diffusione del gioco irregolare o illegale in Italia; tutela della sicurezza, dell'ordine pubblico e dei consumatori, specie minori d'età; lotta contro le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore), e a condizione che esse siano proporzionate (sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, 30 giugno 2011, in causa C-212/08).
La stessa giurisprudenza del Consiglio di Stato, inoltre, ha riconosciuto che il regime di liberalizzazione degli orari dei pubblici esercizi, applicabile indistintamente agli esercizi commerciali e a quelli di somministrazione, non preclude all'amministrazione comunale la possibilità di esercitare il proprio potere di inibizione delle attività, per comprovate esigenze di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, nonché del diritto dei terzi al rispetto della quiete pubblica; con la precisazione, tuttavia, che ciò è consentito dal legislatore solo in caso di accertata lesione di interessi pubblici tassativamente individuati quali quelli richiamati dall’art. 31, comma 2, del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito in legge n. 214 del 2011 (sicurezza, libertà, dignità umana, utilità sociale, salute).
Pertanto, “una lettura coordinata della giurisprudenza costituzionale ed amministrativa porta a disattendere le prospettate censure di violazione degli artt. 118 e 32 Cost., in ordine al quale parte appellante ha richiamato anche il D.L. n. 158/2012, convertito con L. n. n. 189/2012 a supporto della esclusiva competenza statale, invano invocato anche nel giudizio di costituzionalità, conclusosi con la suindicata decisione della Corte n. 220/2014, che non ha in alcun modo dato rilevanza a tale normativa per denegare la competenza sindacale in subiecta materia”.
Così pure vanno disattese le dedotte violazioni dell'art. 41 Cost. per lesione della libertà costituzionale di iniziativa economica ed imprenditoriale, ribadita ed ampliata anche con il D.L. n. 138/2011, convertito in L. n. 148/2011 e, sotto un diverso profilo, quelle in riferimento all’asserita competenza esclusiva statale in materia di «tutela della concorrenza» (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.). GMC



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