mercoledì 13 maggio 2015

Resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamento aggravato ai sensi dell'art.635 ult.co. nn.1 e 3 cod.pen.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 3 febbraio – 11 maggio 2015, n. 19293
Presidente Gentile – Relatore Cammino

Considerato in fatto

1. La Corte di appello di Trento con sentenza in data 22 febbraio 2013 ha confermato la sentenza emessa il 10 novembre 2011 dal giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Trento che, all'esito del giudizio abbreviato, aveva dichiarato B.M. colpevole del reato continuato di resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamento aggravato ai sensi dell'art.635 ult.co. nn.1 e 3 cod.pen. e lo aveva condannato, disapplicata la recidiva e con la diminuente per il rito, alla pena di mesi sei di reclusione, assolvendolo dal reato di maltrattamenti in famiglia per insussistenza del fatto.
2. Avverso la predetta sentenza l'imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione. Con il ricorso si deduce l'illogicità e contraddittorietà della motivazione e la violazione dell'art.83 cod.pen.; si sostiene che il danneggiamento ascritto all'imputato -il quale, condotto in caserma dopo una lite familiare, aveva fatto resistenza nei confronti dei Carabinieri, rompendo nella colluttazione una sedia della sala di aspetto- era stato una conseguenza, non voluta e del tutto casuale, dell'episodio principale di resistenza; non essendo previsto il reato di danneggiamento colposo, si sarebbe dovuto emettere sentenza di assoluzione in ordine al reato di danneggiamento contestato; la rottura della sedia avrebbe potuto al più essere considerata una forma di estrinsecazione del reato di resistenza e non come autonomo delitto di danneggiamento, per il quale difettava l'elemento soggettivo del dolo; trattandosi di condotta eterogenea rispetto a quella di resistenza, doveva pertanto essere ritenuta sussistente l'ipotesi di un evento diverso da quello voluto prevista dall'art.83 cod.pen. (cd. aberratio delicti), con l'effetto che, non essendo l'evento non voluto (danneggiamento) previsto dalla legge come delitto colposo, l'imputato non sarebbe stato punibile.

Ritenuto in diritto

1. II ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.
Nella motivazione della sentenza impugnata si afferma che nella colluttazione con i Carabinieri, intervenuti per impedire che aggredisse ulteriormente la moglie all'interno dei locali della caserma in cui i coniugi erano stati condotti dopo una lite familiare, il B. aveva volontariamente danneggiato l'arredo della caserma.
La violazione dell'art.83 cod.pen. non poteva essere dedotta per la prima volta con il ricorso per cassazione, risultando dal secondo motivo di appello che l'appellante si era limitato a sostenere che il danneggiamento della sedia era frutto di una mera casualità e, comunque, non si sarebbe trattato di un'autonoma condotta criminosa rispetto al delitto di resistenza. E' principio giurisprudenziale consolidato che non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciarsi perché non devolute alla sua cognizione (Cass. sez.II 19 aprile 2013 n.22362, Di Domenica; sez.V 23 aprile 2013 n.28514, Grazioli Gauthier; sez.I 20 dicembre 1993 n.2176, Etzi).
Peraltro la deduzione difensiva è manifestamente infondata e, in tema di ricorso per cassazione, non costituisce causa di annullamento della sentenza impugnata il mancato esame di un motivo di appello che risulti manifestamente infondato (Cass. sez.V 11 dicembre 2012 n.27202, Tannoia e altro; sez.VI 27 novembre 2012 n.47983, D'Alessandro; sez.IV 17 aprile 2009 n.24973, Ignone e altri).
Va infatti escluso che il danneggiamento possa essere "una mera estrinsecazione del reato di resistenza a pubblico ufficiale", trattandosi di reati che tutelano beni giuridici diversi e che ben possono concorrere materialmente tra di loro.
Va altresì escluso che nel caso di specie il danneggiamento possa essere considerato evento non voluto valutabile ai sensi dell'art.83 cod.pen., quindi addebitabile all'agente a solo titolo di colpa, in quanto ciò avviene solo quando l'evento non voluto sia assolutamente diverso e, cioè, di altra natura rispetto all'altro perché ove invece tale diversità sia da escludere -o perché l'evento verificatosi costituisca una sorta di progressione naturale e prevedibile di quello voluto, ovvero perché risulti di entità maggiore o più grave di quest'ultimo- anche il secondo evento va addebitato all'agente a titolo di dolo, sia pure alternativo o eventuale (Cass. sez.I 20 dicembre 1988 n.3168, Ingrassia; sez.I 11 luglio 1990 n.16264, Ricci; sez.I 2 febbraio 2010 n.21955, Agosta). Non c'è dubbio che il danneggiamento degli arredi della caserma, rispetto alla resistenza nei confronti dei Carabinieri intervenuti per impedire che l'imputato nuovamente aggredisse la moglie, costituisse un ordinario possibile sviluppo ulteriore della resistenza a pubblico ufficiale, commessa all'interno di un locale adibito ad ufficio, e fosse, quindi, un evento prevedibile ed accettato da parte dell'imputato.
Peraltro, secondo la giurisprudenza di questa Corte che il collegio condivide, l'elemento intenzionale del reato di danneggiamento può sussistere nella forma del dolo eventuale, che si configura quando l'agente si sia rappresentato, come probabile o possibile, anche un evento diverso da quello voluto e, ciò nonostante, abbia agito ugualmente accettando il rischio dei suo verificarsi. In tale caso non può farsi luogo all'applicazione dell'art. 83 cod. pen. (evento diverso da quello voluto dall'agente), in quanto l'ipotesi di responsabilità per colpa è configurabile allorquando l'evento diverso, anche se preveduto, non è voluto dall'agente (Cass. sez.V 26 novembre 1986 n.2202, Capitano).
2. Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna dei ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro 1.000,00.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.