mercoledì 13 maggio 2015

Legittima la sospensione della patente pur se rappresenta un indispensabile requisito per lo svolgimento dell’attività lavorativa


Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 17 dicembre 2014 – 8 maggio 2015, n. 19167
Presidente Fiale – Relatore Di Nicola

Ritenuto in fatto

1. P.M. ricorre per cassazione impugnando l’ordinanza del tribunale di Santa Maria Capua Vetere emessa in data 4 ottobre 2013 e con la quale disponeva la sospensione per il periodo di mesi sette della patente di guida rilasciata all’imputato ed a ciò provvedendo ad integrazione della sentenza emessa ex art. 444 cod. proc. pen. il 15 dicembre 2010 dal predetto tribunale di applicazione su richiesta della pena di 8.700,00 di ammenda per il reato previsto dall’art. 186, comma 2, lett. b), codice della strada, sentenza annullata dalla Corte di cassazione con rinvio limitatamente alla omessa applicazione della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida.
2. Per la cassazione dell’impugnata sentenza P.M. , tramite il difensore, affida il ricorso a tre motivi di gravame, qui enunciati, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce l’inosservanza della legge penale (articolo 606, comma 1, lett. b) del codice di procedura penale) con riferimento agli articoli 220, comma 2, 224, comma 1, codice della strada e 628 codice di procedura penale, assumendo che il giudice ha erroneamente adottato una ordinanza laddove la legge espressamente prevede che la sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida debba essere applicata con decreto o con sentenza, tanto che l’articolo 628 codice di procedura penale si riferisce esclusivamente alla sentenza.
2.2. Con il secondo motivo lamenta l’inosservanza della legge penale con riferimento agli articoli 1, 3, 4 e 27 della costituzione, eccependo la incostituzionalità degli articoli 218, comma 2, e 224 del codice della strada nella parte in cui riconoscono al solo prefetto, e soltanto per un tempo massimo di tre ore giornaliere, la possibilità di concedere a colui che viene colto dalla sanzione amministrativa della sospensione della patente permessi orari di guida.
2.3. Con il terzo motivo deduce difetto di motivazione per violazione dell’articolo 606, comma 1, lettera e) codice di procedura penale.
Si sostiene che la motivazione in base alla quale il gip condannava il ricorrente a sette mesi di sospensione della patente di guida appare carente ed illogica in quanto la richiamata gravità del reato si atteggia come una mera clausola di stile non motivata in concreto, con la conseguenza che il tribunale avrebbe ben potuto applicare al ricorrente la sanzione accessoria nel minimo edittale previsto per legge. Peraltro il reato si era, nel frattempo estinto per non essere l’imputato incorso nel biennio in altri reati e tale circostanza non era stata affatto valutata dal giudice.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
2. Quanto al primo motivo, se è vero che il provvedimento impugnato è stato adottato con ordinanza, è di tutta evidenza come esso rivesta la forma della sentenza emessa secondo la sequenza procedimentale prevista dalla legge e con le garanzie del contraddittorio, con la conseguenza che, nel caso in cui il provvedimento terminativo del giudizio svoltosi, come nella specie, in camera di consiglio abbia assunto erroneamente la forma dell’ordinanza anziché quella della sentenza, della quale tuttavia contenga tutti i requisiti essenziali, non è ravvisabile alcuna nullità, sicché la doglianza deve ritenersi manifestamente infondata.
3. Anche il secondo motivo è manifestamente infondato.
Questa Corte, con orientamento condivisibile al quale occorre dare continuità, ha già affermato che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 218 e 224 cod. strad., sollevata con riferimento al criterio di ragionevolezza contenuto nell’art. 3 Cost., nella parte in cui non prevedono – a differenza dell’art. 63 legge n. 689 del 1981 – la possibilità per il giudice di regolamentare l’applicazione della sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida in modo tale da non ostacolare il lavoro del condannato, qualora la patente rappresenti un indispensabile requisito per lo svolgimento dell’attività lavorativa, rientrando nel potere discrezionale del legislatore la tutela della pubblica incolumità anche con il sacrificio delle possibilità lavorative del condannato (Sez. 4, n. 3435 del 04/02/1997, Calandri, Rv. 207797).
Né la questione di costituzionalità ha, sulla base dell’eadem ratio in precedenza esposta, alcun fondamento in relazione alle norme costituzionali denunciate dal ricorrente (artt. 1, 4 e 27 Cost.) per la lesione del diritto fondamentale al lavoro quale ineludibile strumento di emenda con conseguenti riflessi sulla violazione del principio rieducativo della pena, rientrando nell’insindacabile discrezionalità del legislatore, ancora una volta, la tutela della pubblica incolumità anche con il sacrificio delle possibilità lavorative del condannato sul rilievo che le peculiarità insite in una attività lavorativa che comporti frequenti spostamenti (nel caso di specie si assume trattarsi di una agente di commercio), in tanto possono trovare equilibrato soddisfacimento, in quanto le relative modalità attuative non finiscano per svuotare integralmente di contenuto la sanzione applicata.
4. inammissibile è anche il terzo motivo, dovendosi ritenere sufficiente il richiamo ad opera del giudice al criterio della gravità del reato, posto che la sanzione è stata determinata in prossimità del minimo edittale, mentre è di tutta evidenza che, in base al principio della formazione progressiva del giudicato ove l’impugnazione della sentenza sia avvenuta esclusivamente per contestare, come nella specie, l’omessa statuizione delle sanzioni amministrative accessorie con conseguente passaggio in giudicato del capo relativo all’accertamento della responsabilità penale, le cause estintive del reato maturatasi nelle more del giudizio rescissorio non impediscono l’applicazione delle indicate sanzioni.
5. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.