Musica ad
alto volume e chiasso sono l’'incubo di molti residenti. A Venezia,
l'’amministrazione cade sui poteri degli organi, le limitazioni per le
zone chiassose dovevano essere decise dal Consiglio Comunale e non dalla
Giunta.
Chi abita nelle zone centrali delle nostre città lo sa bene: spesso la notte non si dorme a causa degli schiamazzi.
Le folle di persone si spostano tra i locali che, senza remore,
provano a catturare clientela con il volume alto della musica, anche
all’aperto.
La regolamentazione degli orari di chiusura dei pubblici esercizi e dei limiti di rumorosità riesce spesso a porre un freno a tale situazione offrendo ai cittadini residenti il loro legittimo riposo.
Non sempre però, come nella vicenda in questione, i pubblici poteri operano in modo corretto
e fioccano ricorsi amministrativi dei titolari di esercizi commerciali
che, di contro, con i provvedimenti restrittivi, vedono ridimensionati
il loro business.
Il Consiglio di Stato con le sentenze n. 5287 e 5288 del 27 ottobre,
respingendo gli appelli del Comune di Venezia, ha fatto chiarezza su un
importante tema rispondendo ad una domanda: quale doveva essere
l’organo dell’Ente locale che poteva imporre legittime limitazioni per
gli orari ed i limiti di rumorosità degli esercizi commerciali?
Sebbene il contesto delle pronunce sia quello della città di Venezia,
in particolare la bellissima zona di Campo Santa Margherita
frequentata da universitari e turisti (anche di notte), i principi
enunciati dai giudici hanno una importante valenza generale in quanto
relativa alla situazione di fatto sempre più diffusa in numerose città
dove pubblici esercizi finalizzati alla somministrazione di alimenti e
bevande, collocati nel pieno centro cittadino, hanno orari serali di
chiusura fissati ben oltre la mezzanotte, con la conseguenza che i
numerosi avventori che affollano l’esercizio, e che stazionano
all’esterno dello stesso, provocano una situazione di schiamazzi e
rumorosità diffusa, tale da pregiudicare il riposo delle persone che
abitano nelle immediate vicinanze.
Venendo alle vicende in esame, i giudici di Palazzo Spada si sono
pronunciati sui due procedimenti paralleli dopo che, persi parzialmente i
ricorsi davanti al Tar Veneto, promossi da alcuni commercianti, il
Comune di Venezia ha insistito sulla correttezza del suo operato.
In particolare con una delibera del Consiglio Comunale del 2011 (la
n. 75), erano stati introdotti due articoli al regolamento di Polizia
Urbana:
- il primo (l’art. 49 ter) stabiliva che la Giunta
Comunale dovesse individuare le aree della città e le tipologie di
limitazioni circa gli orari dove era presente un certo degrado e la
compromissione della qualità vita dei residenti a causa di consumo su
strade pubblico di bevande;
- il secondo (l’art. 49 quater) attribuiva alla Giunta
il potere di imporre divieti a esercizi commerciali, artigianali e di
somministrazione di alimenti e bevande, su qualsiasi forma e tipologia
di spettacolo sul suolo pubblico, nonché il suono di strumenti musicali
di qualsiasi tipo.
Su questi presupposti, inizialmente in via solo temporanea (per ragioni di urgenza) con ordinanza sindacale e poi con
deliberazione della Giunta Comunale, ad effetti permanenti, venivano
fissati nella zona Santa Margherita e dintorni, ricca di locali, una
serie di forti limitazioni a grave danno degli esercizi commerciali sia in termini di orari di apertura che di limiti di emissioni sonore.
Il tutto perché le limitazione apportate con l’ordinanza urgente non
erano state, secondo il Comune, abbastanza incisive ma avevano portato
solo ad una riduzione senza eliminare quelli che venivano definiti “fenomeni di degrado e/o allarme sociale”!
Analizzata la vicenda, i giudici amministrativi, richiamando
brevemente i poteri, disciplinati dal TUEL, del Sindaco, del Consiglio e
della Giunta, hanno bocciato il Comune e le sue scelte provvedimentali, respingendo gli appelli.
Dice infatti il giudice: “spetta effettivamente all’Ente locale il potere di tutelare la sicurezza urbana, intesa come bene pubblico che concerne il regolare ed ordinato svolgimento della vita civile, per migliorare le condizioni di vivibilità nei centri urbani,
la convivenza civile e la coesione sociale, con esclusione
dell’attività di prevenzione e repressione dei reati (che attiene invece
all’ordine pubblico ed alla sicurezza pubblica e spetta esclusivamente
allo Stato e che legittima il potere extra ordinem del sindaco, quale
ufficiale di governo), tale potere rientrando però non già nell’alveo
del citato art. 54, bensì nelle funzioni e nei compiti propri della polizia amministrativa locale
(secondo la definizione dell’art. 159, comma 1, del 31 marzo 1998, n.
112, riguardando “le misure dirette ad evitare danni o pregiudizi che
possono essere arrecati ai soggetti giuridici ed alle cose nello
svolgimento di attività relative alle materie nelle quali vengono
esercitate le competenze, anche delegate, delle regioni e degli enti
locali, senza che ne risultino lesi o messi in pericolo i beni e gli
interessi tutelati in funzione dell’ordine pubblico e della sicurezza
pubblica”). L’esercizio di tale potere spetta, secondo la
ordinaria ripartizione delle competenze tra gli organi del Comune,
esclusivamente al Consiglio Comunale”.
Il problema, si legge nella sentenza, non riguarda tanto la delega
del Consiglio alla Giunta per delimitare ed individuare alcune aree a
rischio della città, quanto piuttosto il fatto che, stante
l’indeterminatezza e la generalità dei destinatari e l’indefinita
ripetibilità ed applicabilità a fattispecie concreta, l’individuazione
dei limiti alle attività commerciali spettava esclusivamente al
consiglio comunale, secondo l’ordinaria ripartizione delle competenze
tra gli organi comunali.
In sostanza il Consiglio Comunale non poteva delegare tale
potere normativo, né tanto meno nel caso di specie dove non era stato
formulato alcun criterio di indirizzo per individuare le limitazioni da
imporre ai locali della zona.
“Per il principio di legalità – un organo amministrativo
può delegare ad un altro organo i poteri di cui sia titolare solo
qualora una legge lo consenta”.
Un vizio di incompetenza della Giunta quindi, derivata dalla
illegittima delega del Consiglio Comunale, che ha scardinato le misure
prese dall’Ente, in quanto, ripete il Consiglio di Stato, il potere di
tutelare e garantire la sicurezza urbana individuando a tal fine le
misure più idonee ed adeguate, non poteva che manifestarsi in via
ordinaria attraverso l’esercizio della potestà regolamentare che
spettava interamente ed esclusivamente all’organo consiliare.
In conclusione, ora gli interventi della Giunta a favore dei
residenti, per ridurre il degrado urbano dovuto a locali e plateatici
chiassosi, decadranno, sarà onere dell’Amministrazione emanare nuovi
provvedimenti nel rispetto delle competenza di ciascun organo che
possano essere incisivi ma al contempo rispettosi della legge (e della
Costituzione) in tema di riparto dei poteri perché, è importante
ricordarlo, “fermo restando il potere sindacale di emanare ordinanze
contingibili ed urgenti allorché si verifichino situazioni eccezionali,
impreviste ed imprevedibili come tali autonomamente idonee a ledere o
mettere in pericolo l’incolumità dei cittadini e la sicurezza pubblica
(ivi compreso l’inquinamento acustico o atmosferico), il comune [ha] il
potere di tutelare e garantire la sicurezza urbana individuando a tal
fine le misure più idonee ed adeguate - tale potere non può che
manifestarsi in via ordinaria attraverso l’esercizio della potestà
regolamentare che spetta interamente ed esclusivamente all’organo
consiliare”.
Per accedere all'approfondimento giuridico e scaricare la sentenza cliccare www.gazzettaamministrativa.it
Luca Tosto
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