venerdì 14 novembre 2014

Venezia: bocciate le limitazioni agli orari ed alla rumorosità dei pubblici esercizi

Musica ad alto volume e chiasso sono l’'incubo di molti residenti. A Venezia, l'’amministrazione cade sui poteri degli organi, le limitazioni per le zone chiassose dovevano essere decise dal Consiglio Comunale e non dalla Giunta.
Chi abita nelle zone centrali delle nostre città lo sa bene: spesso la notte non si dorme a causa degli schiamazzi.
Le folle di persone si spostano tra i locali che, senza remore, provano a catturare clientela con il volume alto della musica, anche all’aperto.
La regolamentazione degli orari di chiusura dei pubblici esercizi e dei limiti di rumorosità riesce spesso a porre un freno a tale situazione offrendo ai cittadini residenti il loro legittimo riposo.
Non sempre però, come nella vicenda in questione, i pubblici poteri operano in modo corretto e fioccano ricorsi amministrativi dei titolari di esercizi commerciali che, di contro, con i provvedimenti restrittivi, vedono ridimensionati il loro business.
Il Consiglio di Stato con le sentenze n. 5287 e 5288 del 27 ottobre, respingendo gli appelli del Comune di Venezia, ha fatto chiarezza su un importante tema rispondendo ad una domanda: quale doveva essere l’organo dell’Ente locale che poteva imporre legittime limitazioni per gli orari ed i limiti di rumorosità degli esercizi commerciali?
Sebbene il contesto delle pronunce sia quello della città di Venezia, in particolare  la bellissima zona di Campo Santa Margherita frequentata da universitari e turisti  (anche di notte), i principi enunciati dai giudici hanno una importante valenza generale in quanto relativa alla situazione di fatto sempre più diffusa in numerose città dove pubblici esercizi finalizzati alla somministrazione di alimenti e bevande, collocati nel pieno centro cittadino, hanno orari serali di chiusura fissati ben oltre la mezzanotte, con la conseguenza che i numerosi avventori che affollano l’esercizio, e che stazionano all’esterno dello stesso, provocano una situazione di schiamazzi e rumorosità diffusa, tale da pregiudicare il riposo delle persone che abitano nelle immediate vicinanze.
Venendo alle vicende in esame, i giudici di Palazzo Spada si sono pronunciati sui due procedimenti paralleli dopo che, persi parzialmente i ricorsi davanti al Tar Veneto, promossi da alcuni commercianti, il Comune di Venezia ha insistito sulla correttezza del suo operato.
In particolare con una delibera del Consiglio Comunale del 2011 (la n. 75), erano stati introdotti due articoli al regolamento di Polizia Urbana:
-      il primo (l’art. 49 ter) stabiliva che la Giunta Comunale dovesse individuare le aree della città e le tipologie di limitazioni circa gli orari dove era presente un certo degrado e la compromissione della qualità vita dei residenti a causa di consumo su strade pubblico di bevande;
-      il secondo (l’art. 49 quater) attribuiva alla Giunta il potere di imporre divieti a esercizi commerciali, artigianali e di somministrazione di alimenti e bevande, su qualsiasi forma e tipologia di spettacolo sul suolo pubblico, nonché il suono di strumenti musicali di qualsiasi tipo.
Su questi presupposti, inizialmente in via solo temporanea (per ragioni di urgenza) con ordinanza sindacale e poi con deliberazione della Giunta Comunale, ad effetti permanenti, venivano fissati nella zona Santa Margherita e dintorni, ricca di locali, una serie di forti limitazioni a grave danno degli esercizi commerciali sia in termini di orari di apertura che di limiti di emissioni sonore.
Il tutto perché le limitazione apportate con l’ordinanza urgente non erano state, secondo il Comune, abbastanza incisive ma avevano portato solo ad una riduzione senza eliminare quelli che venivano definiti  “fenomeni di degrado e/o allarme sociale”!
Analizzata la vicenda, i giudici amministrativi, richiamando brevemente i poteri, disciplinati dal TUEL, del Sindaco, del Consiglio e della Giunta, hanno bocciato il Comune e le sue scelte provvedimentali, respingendo gli appelli.
Dice infatti il giudice: “spetta effettivamente all’Ente locale il potere di tutelare la sicurezza urbana, intesa come bene pubblico che concerne il regolare ed ordinato svolgimento della vita civile, per migliorare le condizioni di vivibilità nei centri urbani, la convivenza civile e la coesione sociale, con esclusione dell’attività di prevenzione e repressione dei reati (che attiene invece all’ordine pubblico ed alla sicurezza pubblica e spetta esclusivamente allo Stato e che legittima il potere extra ordinem del sindaco, quale ufficiale di governo), tale potere rientrando però non già nell’alveo del citato art. 54, bensì nelle funzioni e nei compiti propri della polizia amministrativa locale (secondo la definizione dell’art. 159, comma 1, del 31 marzo 1998, n. 112, riguardando “le misure dirette ad evitare danni o pregiudizi che possono essere arrecati ai soggetti giuridici ed alle cose nello svolgimento di attività relative alle materie nelle quali vengono esercitate le competenze, anche delegate, delle regioni e degli enti locali, senza che ne risultino lesi o messi in pericolo i beni e gli interessi tutelati in funzione dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica”). L’esercizio di tale potere spetta, secondo la ordinaria ripartizione delle competenze tra gli organi del Comune, esclusivamente al Consiglio Comunale”.
Il problema, si legge nella sentenza, non riguarda tanto la delega del Consiglio alla Giunta per delimitare ed individuare alcune aree a rischio della città, quanto piuttosto il fatto che, stante l’indeterminatezza e la generalità dei destinatari e l’indefinita ripetibilità ed applicabilità a fattispecie concreta, l’individuazione dei limiti alle attività commerciali spettava esclusivamente al consiglio comunale, secondo l’ordinaria ripartizione delle competenze tra gli organi comunali.
In sostanza il Consiglio Comunale non poteva delegare tale potere normativo, né tanto meno nel caso di specie dove non era stato formulato alcun criterio di indirizzo per individuare le limitazioni da imporre ai locali della zona.
Per il principio di legalità – un organo amministrativo può delegare ad un altro organo i poteri di cui sia titolare solo qualora una legge lo consenta”.
Un vizio di incompetenza della Giunta quindi, derivata dalla illegittima delega del Consiglio Comunale, che ha scardinato le misure prese dall’Ente, in quanto, ripete il Consiglio di Stato, il potere di tutelare e garantire la sicurezza urbana individuando a tal fine le misure più idonee ed adeguate, non poteva che manifestarsi in via ordinaria attraverso l’esercizio della potestà regolamentare che spettava interamente ed esclusivamente all’organo consiliare.
In conclusione, ora gli interventi della Giunta a favore dei residenti, per ridurre il degrado urbano dovuto a locali e plateatici chiassosi, decadranno, sarà onere dell’Amministrazione emanare nuovi provvedimenti nel rispetto delle competenza di ciascun organo che possano essere incisivi ma al contempo rispettosi della legge (e della Costituzione) in tema di riparto dei poteri perché, è importante ricordarlo, “fermo restando il potere sindacale di emanare ordinanze contingibili ed urgenti allorché si verifichino situazioni eccezionali, impreviste ed imprevedibili come tali autonomamente idonee a ledere o mettere in pericolo l’incolumità dei cittadini e la sicurezza pubblica (ivi compreso l’inquinamento acustico o atmosferico), il comune  [ha] il potere di tutelare e garantire la sicurezza urbana individuando a tal fine le misure più idonee ed adeguate - tale potere non può che manifestarsi in via ordinaria attraverso l’esercizio della potestà regolamentare che spetta interamente ed esclusivamente all’organo consiliare”.
Per accedere all'approfondimento giuridico e scaricare la sentenza cliccare www.gazzettaamministrativa.it
Luca Tosto
(29 ottobre 2014)

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