Corte
di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 6 novembre 2013 - 30 gennaio 2014, n.
4392
Presidente Garribba – Relatore Paternò Raddusa
Presidente Garribba – Relatore Paternò Raddusa
Ritenuto in fatto
1. K.E. e V.E. sono stati assolti in primo grado dal Gup presso il Tribunale di Trieste dalle imputazioni loro mosse ai sensi degli artt. 337 c.p. (capo A per la non punibilità del fatto in ragione dell'art. 393 bis c.p.), lesioni (capo B, per la mancanza di querela una volta esclusa la sussistenza dell’aggravante legata al nesso teleologia) con il reato di cui al capo A), 651 c.p. (capo C, per la insussistenza del fatto, imputato al solo K. ) e per ingiurie (Capi D, E, F, primi due per il K. , l'ultimo per la V. , in ragione della remissione della querela da parte delle persone offese).
2. Interposto appello dalla Procura
generale, gli imputati sono stati condannati per i capi da A a C, riuniti dal
vincolo della continuazione, alla pena di giustizia.
3. Impugnano per Cassazione i due
imputati, con più ricorsi. Il primo, unitariamente formato, sottoscritto
dall'avvocato Battello; autonomamente il K. con ricorso a firma dell'avvocato
Vergine, il quale ha anche depositato motivi aggiunti; autonomamente la V. ,
con il ricorso nel suo interesse sottoscritto dall'avvocato Riccardo Seboild.
4. I motivi del ricorso proposto
nell'interesse di entrambi gli imputati dall'avvocato Battello. Tre i motivi
addotti.
4.1 Con il primo si lamenta violazione di legge avuto riguardo agli artt. 393 bis c.p. e 337 c.p. La Corte ha limitato il giudizio sulla arbitrarietà dell'azione dei PU alla sola legittimità del controllo operato in virtù della ritenuta sussistenza del reato contestato ai sensi dell'art. 651 c.p. al K. . Ciò tuttavia tralasciando di considerare che seppur legittimo, anche l'atto posto in essere mediante soprusi, villania, prepotenza, si concreta in un eccesso rispetto ai limiti delle attribuzioni tanto da poter giustificare l'operatività della scriminante riconosciuta in primo grado. E soprattutto non ha valutato la condotta prepotente dei carabinieri sotto il diverso versante legato all'apprezzamento della stessa da parte dei due imputati, avendo gli stessi letto la condotta dei pubblici ufficiali in termini di effettivo sopruso tanto da motivare giustificatamente la reazione posta in essere.
4.1 Con il primo si lamenta violazione di legge avuto riguardo agli artt. 393 bis c.p. e 337 c.p. La Corte ha limitato il giudizio sulla arbitrarietà dell'azione dei PU alla sola legittimità del controllo operato in virtù della ritenuta sussistenza del reato contestato ai sensi dell'art. 651 c.p. al K. . Ciò tuttavia tralasciando di considerare che seppur legittimo, anche l'atto posto in essere mediante soprusi, villania, prepotenza, si concreta in un eccesso rispetto ai limiti delle attribuzioni tanto da poter giustificare l'operatività della scriminante riconosciuta in primo grado. E soprattutto non ha valutato la condotta prepotente dei carabinieri sotto il diverso versante legato all'apprezzamento della stessa da parte dei due imputati, avendo gli stessi letto la condotta dei pubblici ufficiali in termini di effettivo sopruso tanto da motivare giustificatamente la reazione posta in essere.
4.2 Con il secondo motivo si adduce
motivazione illogica e travisamento probatorio avuto riguardo al tenore delle
annotazioni di servizio e del verbale di arresto acquisiti in giudizio.
Dai citati documenti nonché dalla
sentenza di primo grado emergerebbe un fatto parzialmente diverso da quello
ricostruito dal giudice di appello. Invitato a fornire un documento, il K.
rispose di non esserne in possesso perché non occorreva, non essendo alla guida
del mezzo; invitato dai CC a scendere dall'auto per fornire le generalità,
dichiarava il proprio nome e cognome e si rifiutava radicalmente di scendere
dall'auto. Secondo la sentenza di secondo grado, a questo punto l'invito a
scendere dall'auto viene e motivato dalla esigenza di assumere le generalità
complete dell'interessato, oltre quelle già fornite; e la Corte, pur in assenza
di un riscontro in tale senso dagli atti, avrebbe addebitato tale lacuna alla
ritenuta notoria sinteticità dei verbali e della annotazioni. Anche a voler
seguire siffatto assunto, mancava qualsivoglia situazione di illecito, anche in
via prospettica, e di pericolo per la collettività ; malgrado ciò furono messe
ingiustificatamente in atto manovre coattive per fare forzatamente uscire il
ricorrente dal mezzo, senza che gli atti emarginino mai una situazione di sospetto
che, riferita dai CC, abbia dato luogo ad un controllo più approfondito, utile
a giustificare l'azione forzosa. Dagli atti, dunque, non emergerebbe altro che
l'ostinato rifiuto di scendere dall'auto per fornire oltre le relative
generalità; nulla sul sospetto delle ipotesi illecite congetturate dalla Corte.
Lo stesso riferimento alle ragioni giustificative dell'art. 349 c.p.p si rivela
essere inconferente perché i relativi presupposti non erano applicabili alla
specie provando piuttosto applicazione l'articolo 651 c.p. che mai avrebbe
potuto dare corpo ad un arresto in flagranza. Anche a voler ritenere
prospettabile un accompagnamento coattivo in caserma, è del tutto
sproporzionata l'azione dei CC rispetto al preteso fine di identificare un uomo
le cui generalità erano comunque già note perché evincibili dai documentati in
possesso dei Carabinieri stessi. La sentenza dunque omette di considerare la
condotta dei CC dal lato della percezione che della stessa ebbe il ricorrente,
letta necessariamente in termini di assoluta esuberanza rispetto ai confini
tipici dell'azione posta in essere dai detti pubblici ufficiali. Oltre al
lamentato travisamento degli atti, la sentenza sarebbe altresì illogica nel
descrivere la condotta dei Carabinieri siccome improntata ad una esagerata
precauzione rispetto alle connotazioni del fatto per poi giustificare il
dispiegamento di forze e il tentativo coattivo di estrazione nel valutare e
ritenere sproporzionata la reazione del K.
4.3 Con il terzo motivo si lamenta
violazione di legge avuto riguardo alla riconosciuta aggravante del 61 n. 2
rispetto alle lesioni di cui al capo B.
Le
lesioni sono di certo cronogicamente successive alla violenza nella quale si è
sostanziata la resistenza ex art. 337 c.p. giacché costituiscono una conseguenza
della stessa. Mancherebbe dunque il limite esterno della aggravante contestata,
la contestualità del reato mezzo (le lesioni), rispetto al ritenuto reato fine
(la resistenza).
5. Ricorso a firma avvocato Vergine nell'interesse esclusivo di K.E. . Sette motivi di ricorso.
5.1 Con il primo si lamenta assoluto difetto di motivazione, comunque illogica e contraddittoria e violazione dell'art. 651.
5. Ricorso a firma avvocato Vergine nell'interesse esclusivo di K.E. . Sette motivi di ricorso.
5.1 Con il primo si lamenta assoluto difetto di motivazione, comunque illogica e contraddittoria e violazione dell'art. 651.
La sentenza, avuto riguardo alla
condanna per il 651 c.p., contrasta, senza confutarne il portato, con la
decisione di primo grado e con le emergenze istruttorie ivi indicate. La
documentazione acquisita dava infatti adeguato riscontro del fatto che i
militari, per le informazioni ricevute dal K. e per quanto emergente dalla
carta di circolazione avevano a disposizione tutti gli elementi indentificativi
del ricorrente. E da corpo a un’erronea interpretazione dell'art. 651 c.p.
secondo la quale la violazione sottesa alla norma suppone che la declinazione
delle generalità venga effettuata mediante l'esibizione di un documento di
identità, elemento piuttosto tipico della ipotesi di cui agli artt. 294 RD
635/1949 e 221 TULPS, norme non contestate. Diversamente da quanto ritenuto
dalla Corte di merito il ricorrente aveva dunque posto a disposizione dei CC
gli elementi utili all’identificazione dello stesso.
5.2 Con il secondo motivo si adduce
motivazione mancante o comunque illogica e contraddittoria avuto riguardo al
dato legato alla richiesta di ulteriori dati informativi attinenti la
generalità chieste all'imputato.
Mentre in primo grado si evidenziava che nulla dagli atti faceva trasparire questa ulteriore sollecitazione, la sentenza d'appello perviene a tale affermazione sul piano logico sul presupposto della affermata tipica sinteticità dei verbali e delle annotazioni. Illogicamente tuttavia confonde sinteticità con carenza, caduta peraltro su un elemento costitutivo del reato contestato, e descrivendo siccome sintetici atti che per contro, nel caso erano piuttosto analitici rispetto all'accaduto. E viene rafforzata la fondatezza della conclusione raggiunta (la formulata richiesta di ulteriori generalità) con l'insistenza nel pretendere la fuoriuscita dal veicolo dal ricorrente, sommando illogicità ad illogicità.
Mentre in primo grado si evidenziava che nulla dagli atti faceva trasparire questa ulteriore sollecitazione, la sentenza d'appello perviene a tale affermazione sul piano logico sul presupposto della affermata tipica sinteticità dei verbali e delle annotazioni. Illogicamente tuttavia confonde sinteticità con carenza, caduta peraltro su un elemento costitutivo del reato contestato, e descrivendo siccome sintetici atti che per contro, nel caso erano piuttosto analitici rispetto all'accaduto. E viene rafforzata la fondatezza della conclusione raggiunta (la formulata richiesta di ulteriori generalità) con l'insistenza nel pretendere la fuoriuscita dal veicolo dal ricorrente, sommando illogicità ad illogicità.
5.3
Con il terzo motivo si aggredisce la sentenza impugnata nella parte in cui
individua la ragione giustificatrice dell'azione coattiva posta in essere dai
CC nell'accertamento della eventuale pericolosità dell'uomo e nella inesistenza
di possibili situazioni di irregolarità o di fatti costituenti reato ivi
espressamente ipotizzate.
La lettura degli atti del processo non
autorizzava siffatta conclusione e l'argomentazione sarebbe comunque
manifestamente illogica perché anche in astratto un siffatto ipotetico pericolo
non era confacente alla fattispecie.
5.4 Con il quarto motivo difetto di motivazione e violazione di legge vengono appuntate oltre che all'art. 651 c.p. anche all'art. 349 c.p.. Nel corpo della motivazione la Corte, dopo aver ritenuto integrata la violazione dell'art. 651 c.p., sottolinea la necessità di un ulteriore controllo e in funzione dello stesso, giustifica prima la richiesta di scendere dal mezzo, poi la sua forzata estrazione del K. dall'autovettura quale reazione legata al rifiuto mostrato da questi. E si richiama su tale ultimo versante all'art. 349 c.p.p comma IV non sussistendone i presupposti (sia perché il K. non era indagato, sia perché le informazioni chieste si riferiscono al fatto per il quale si sta procedendo e questo fatto non poteva essere individuato nella eventuale possibile sussistenza di situazioni di irregolarità o di fatti di reato) sia perché, se il fatto per il quale occorreva procedere alla identificazione era la violazione del 651 o le ingiurie in precedenza profferite ai danni degli stessi CC, occorreva prima chiedere le informazioni in funzione del comma I dell'art. 349 c.p. e poi agire ai sensi del Comma IV in caso di rifiuto. In ogni caso, l'accompagnamento coattivo presuppone l'invito a recarsi con gli agenti di PG presso gli uffici e il conseguente rifiuto a procedere in tal senso: invito nella specie mai formulato.
5.4 Con il quarto motivo difetto di motivazione e violazione di legge vengono appuntate oltre che all'art. 651 c.p. anche all'art. 349 c.p.. Nel corpo della motivazione la Corte, dopo aver ritenuto integrata la violazione dell'art. 651 c.p., sottolinea la necessità di un ulteriore controllo e in funzione dello stesso, giustifica prima la richiesta di scendere dal mezzo, poi la sua forzata estrazione del K. dall'autovettura quale reazione legata al rifiuto mostrato da questi. E si richiama su tale ultimo versante all'art. 349 c.p.p comma IV non sussistendone i presupposti (sia perché il K. non era indagato, sia perché le informazioni chieste si riferiscono al fatto per il quale si sta procedendo e questo fatto non poteva essere individuato nella eventuale possibile sussistenza di situazioni di irregolarità o di fatti di reato) sia perché, se il fatto per il quale occorreva procedere alla identificazione era la violazione del 651 o le ingiurie in precedenza profferite ai danni degli stessi CC, occorreva prima chiedere le informazioni in funzione del comma I dell'art. 349 c.p. e poi agire ai sensi del Comma IV in caso di rifiuto. In ogni caso, l'accompagnamento coattivo presuppone l'invito a recarsi con gli agenti di PG presso gli uffici e il conseguente rifiuto a procedere in tal senso: invito nella specie mai formulato.
5.5 Con il quinto motivo si stigmatizza
la decisione impugnata avuto riguardo alla mancata applicazione dell'art. 393
bis, ingiustificatamente riportata, quanto alla arbitrarietà della condotta, la
fattispecie alla richiesta di uscire dal veicolo e non a quella della violenza
fisica utilizzata per raggiungere il fine. In tali casi, oggettivamente e anche
nella visione soggettiva data dalla percezione del soggetto che la patisce,
l'azione dei CC era da ritenersi arbitraria, per nulla giustificata anche dalle
provocazioni del ricorrente. Da qui la necessità di annullare la sentenza con
riferimento al 337 c.p. nonché all'art. 582 c.p., trattandosi di mere lesioni
colpose, non procedibili in mancanza di querela.
5.6 Con i motivi sesto e settimo si
lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata
applicazione delle attenuanti generiche e del danno di speciale tenuità.
5.7 Con motivi aggiunti depositati il 21
ottobre 2013 la difesa ha ulteriormente ribadito il vizio di motivazione
inficiante la sentenza impugnata il cui portato argomentativo non è tale da
smentire in radice l'assunto seguito in primo grado dal Tribunale avuto
riguardo sia alla condanna ex art. 651 c.p. sia in relazione all'applicazione
dell'art. 337.
6. Ricorso V. a firma avvocato Seboild.
6.1 Con il primo motivo si adduce vizio
di motivazione. La Corte territoriale non ha effettuato una completa
valutazione critica delle argomentazioni rese dal primo giudice, superandone il
portato in ragione di una ritenuta insostenibilità logica dello stesso.
Procedendo ad un raffronto tra la linea argomentativa seguita dal Tribunale e
quella tracciata in secondo grado dalla Corte, segnalati i tratti comuni delle
due decisioni, si contesta la logicità delle valutazioni rese in appello sul
piano della affermata verosimiglianza che la richiesta di scendere dall'auto
venne giustificata dalla necessità di fornire ulteriori dettagli sue generalità
del ricorrente, non emergente dagli atti, ma ritenuta dalla Corte a supporto
della decisione assunta sul capo C (651 c.p.) in ragione della affermata
ordinaria sinteticità degli atti, regola di esperienza, questa, priva di alcun
conforto logico e contraddetta nella specie, sul piano della verosimiglianza,
dal fatto che tali ulteriori richieste non vennero formulate perché i
carabinieri erano in possesso dei relativi dati, essendo già in possesso del
libretto di circolazione dell'auto ove gli stessi risultavano trascritti e non
avendo mai gli stessi dubitato della veridicità delle dichiarazioni del K. . La
Corte ha poi, senza supporto alcuno, giustificato l'utilizzo della forza perché
sussistevano i presupposti per l'accompagnamento coattivo dell'uomo in caserma
o per trattenerlo sul posto per completare l'accertamento sula identità.
6.2 Con il secondo motivo si denunzia
violazione degli artt. 52, 337, 393 bis e 651. La reazione all'azione
arbitraria dei CC, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte, andava riferita
non alla richiesta di uscire dall'abitacolo ma all'utilizzo della forza per
realizzare quel fine. Ed anche a voler giustificare tale iniziativa in funzione
dell'accompagnamento coattivo, comunque l'uso della forza non doveva ritenersi
legittimo essendo consentito solo in presenza di una legittima facoltà non in
ragione di mera prospettazione teorica: non emerge in alcun modo che l'azione
venne motivata dalla esigenza di portare coattivamente in caserma o trattenere
sul posto forzatamente il K. per ulteriori accertamenti. Come affermato dal primo
giudice, i carabinieri, a fronte del diniego del K. , si erano impuntati sulla
necessità di fare scendere l'imputato dall'auto ; mai dagli atti risulta
paventato il sospetto della pericolosità dell'uomo affermato dal giudice
dell'appello. La violenza adoperata per farlo scendere dal mezzo costituiva di
certo atto eccedente le relative attribuzioni, utile a giustificare la reazione
scriminante ex art. 393 bis.
6.3 Con l'ultimo motivo, sempre attratto
ai vizi della violazione di legge e difetto di motivazione, si evidenzia che la
Corte erroneamente afferma che le difese non avrebbero mani contestato l'entità
ontologica della resistenza, in aperto contrasto con le conclusioni già
rassegnate nel primo grado di giudizio. Quanto alla posizione della V. , la
Corte non ha adeguatamente valutato il comportamento irreprensibile tenuto
dalla stesse nel corso dell'accertamento, la pressione subita nel corso dello
stesso, la difficoltà linguistica correlata alla sua appartenenza alla
minoranza linguistica slovena, l'azione posta in essere solo al verificarsi
della violenza patita dal marito e sempre nell'ottica di sottrarre lo stesso
all'azione abusiva posta in essere dai CC, i presupposti della condanna ex art.
582 c.p., l'assenza di dolo, la possibile alternativa in virtù della quale
l'azione sia stato il frutto di una concitata manovra errata. Considerato in
diritto
7. La fondatezza delle doglianze sollevate dai due imputati impone l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.
7. La fondatezza delle doglianze sollevate dai due imputati impone l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.
8. Quanto alla ritenuta responsabilità
per il reato ascritto sub e) del capo di imputazione.
8.1 La sentenza di primo grado nega la
presenza dell'ipotizzata condotta delittuosa, muovendo da un determinato
presupposto in fatto, incontrovertibile in entrambe le due decisioni di merito :
seppur riottosamente, il K. ebbe a declinare le proprie generalità, riferendo
il proprio nome e cognome ed affermando che non era in possesso dei documenti
di identità. Sostiene il giudice di prime cure che venne a quel punto chiesto
all'imputato di scendere dall'auto per declinare nuovamente i dati già forniti
e che dalla documentazione acquisita non emergerebbe che la richiesta in
questione - scendere dall'auto - venne articolata in ragione della acquisizione
di ulteriori elementi ad integrazione di quanto già dichiarato (nascita,
residenza, stato personale). Ed a supporto di questa considerazione il primo
giudice precisa altresì che tanto troverebbe ulteriore compatibilità logica
nella pacifica consegna ai carabinieri del libretto di circolazione, che tali
dati tutti rappresentava.
Da qui la ritenuta insussistenza del
reato, avendo il ricorrente risposto in coerenza alla sollecitazione rivoltagli
dai carabinieri.
8.2 Diversa la ricostruzione operata
dalla sentenza di appello, sulla base di spunti logici legati al medesimo
materiale probatorio distanti dal ritenere del primo giudice.
Si
sottolinea la legittimità della richiesta volta ad acquisire le generalità
compete quale ragione giustificativa dell'invito a scendere dall'autovettura
per provvedere a siffatta incombenza. Ciò malgrado il tenore oggettivo di tale
ulteriore precisazione non trovi immediato riscontro nei verbali e nelle
annotazioni di servizio nel caso redatti senza che tale mancanza, tuttavia,
impedisca di pervenire alla conclusione assunta in ragione della affermata
notoria sinteticità di siffatti atti; dell'insistenza del carabiniere
nell'invitare l'imputato a scendere dall'auto per svolgere l'incombente;
dell'inadeguatezza del libretto a fungere da valido documento identificativo;
della immotivata riottosità mostrata dal ricorrente, tale da giustificare un
tutt'altro che arbitrario approfondimento.
8.3 Osserva la Corte come, in linea con
quanto affermato in via di principio da entrambe i giudici del merito, che il
reato di cui all'art. 651 cod.pen. si perfeziona con il semplice rifiuto di
fornire al pubblico ufficiale indicazioni circa la propria identità personale,
per cui è irrilevante, ai fini dell'integrazione dell'illecito, che tali
indicazioni vengano successivamente fornite o che l'identità del soggetto sia
facilmente accertata per la conoscenza personale da parte del pubblico
ufficiale o per altra ragione. Il rifiuto di indicazioni sulla propria identità
personale - punito dall'art. 651 cod. pen. - va riferito peraltro non solo al
nome e cognome ma a tutte le altre informazioni richieste (residenza, luogo di
nascita ed altro) utili a definire la pronta identificazione del soggetto
interessato.
8.4 Diventa dunque essenziale, in fatto,
accertare se nel caso la richiesta rivolta al K. nell'invitarlo a scendere
dall'auto era limitata a riaffermare un dato già fornito dell'imputato - che
aveva declinato nome e cognome - o venne piuttosto motivata dalla necessità di
acquisire ulteriori dati a precisazione di quelli resi. Pacificamente le
emergenze istruttorie non danno conto di ulteriori richieste di precisazioni
sul punto rivolte al ricorrente; e mentre il primo giudice, anche sul piano
logico, ritiene che la richiesta veicolata al K. in assenza di ulteriori
supporti di segno contrario, non fosse altro che una mera reiterazione di
quanto già in possesso dei Carabinieri (anche in ragione della consegna del
libretto di circolazione dell'auto che tali dati, ad integrazione di quanto già
fornito, possedeva), la Corte di appello, perviene alla soluzione opposta dando
particolare spazio logico ad una serie di elementi assertivamente trascurati o
male interpretati dal Tribunale.
8.5 Ad opinione della Corte il percorso
logico tracciato nella sentenza di appello a sostegno della conclusione assunta
in senso difforme da quella di primo grado non solo non risulta caratterizzato
da una forza tale da destrutturare radicalmente il portato delle considerazioni
espresse dal primo giudice ma appare inficiato da manifeste incongruenze che ne
sviliscono definitivamente il tenore, imponendo l'annullamento senza rinvio
della decisione impugnata.
Non sembra meriti particolare
approfondimento la valutazione logica legata alla affermata sinteticità dei
verbali e delle relazioni di servizio : non si comprende quale sia la comune
esperienza che, nel campo di riferimento, consenta di mutuare la
generalizzazione riferita dalla Corte vieppiù quando, come nella specie, il
dato pretermesso in ragione della ritenuta sistematica sinteticità di siffatti
atti finisca per coincidere con il nucleo fondante la condotta in
contestazione.
Tutt'altro che decisivo, poi, sempre sul
piano logico deve ritenersi il riferimento operato alla insistenza dei
Carabinieri quale ragione fondante l'affermata ultroneità dei dati chiesti al
K. rispetto a quelli già forniti: a ben vedere, senza ancorare la deduzione
logica ad alcun riferimento oggettivo che possa avvalorarne il percorso, la
Corte finisce per attribuire un significato decisivo ad un contegno, quello
tenuto nella specie dagli operanti nel sollecitare il K. a scendere dall'auto,
evidentemente suscettibile di una lettura alternativa (tutt'altro che dotata di
minore rigore logico) quale quella segnalata dalle difese e fatta propria dal
primo giudice a supporto della affermata arbitrarietà dell'azione degli stessi
e della inutilità della insistenza volta ad ottenere nuovamente informazioni
già esaustivamente rese.
Infine, evidentemente fuorvianti sul
piano logico devono ritenersi le considerazioni per esposte dalla Corte
territoriale per svilire il portato del riferimento alla consegna del libretto
di circolazione. Al dato il primo giudice si richiama non per affermare una
valenza identificativa del documento, bensì, ed in modo assolutamente
convincente, per supportare ulteriormente il giudizio sulla assenza di una
richiesta di altri dati rispetto a quelli già forniti, essendo gli stessi già
in possesso del pubblico ufficiale proprio per la chiesta e acquisita
disponibilità del citato documento. In definitiva, dunque, la decisione di appello
sul punto appare legata a considerazioni tutt'altro che logiche tanto da
risultare non alternativa ma evidentemente recessiva rispetto alla linearità
del percorso tracciato dalla decisione di primo grado.
Ne
consegue l'annullamento della decisione in parte qua.
9. Quanto alla contestazione mossa ai
sensi dell'art. 337 c.p., va ribadito come la sentenza di primo grado per
pervenire alla assoluzione, muove proprio dall'insussistenza della
responsabilità relativa alla contestata violazione ex art. 651 c.p. per avere
il ricorrente già fornito il dato richiesto. Partendo da tale dato, viene poi
sottolineata l'assenza di particolari situazioni di pericolo o sospetto di
reati da reprimere o prevenire o di ragioni di ordine pubblico utili a
supportare la condotta dei CC intervenuti. E, pur doverosamente rimarcando
l'atteggiamento del K. , non privo di irrazionalità nell'impuntarsi a non
scendere dall'auto ed ulteriormente gravato dalle ingiurie rivolte agli
intervenuti, viene dato particolare rilievo al lungo tempo trascorso per
convincere il ricorrente ad uscire dalla macchina, all'intervento di una
seconda pattuglia, all'intervento forzato dei CC diretto a fare uscire il K.
dall'abitacolo era resistenza del suddetto, ancorato all'auto in ragione della
cintura di sicurezza. Il tutto per raccordare la reazione della fulminea
partenza dell'auto nel mentre i carabinieri erano intenti al detto prelievo
forzoso alla arbitrarietà dell'azione dei Pubblici ufficiali, caratterizzata da
una del tutto ingiustificata violenza, fisica e morale, utilizzata per estrarre
dall'auto il ricorrente a fronte del suo atteggiamento di resistenza, così da
scriminare la condotta contestata in linea con le richieste difensive.
9.2 La sentenza di secondo grado si
pone, anche in parte qua, in termini assolutamente distonici rispetto alla
ricostruzione operata dal primo giudice.
Secondo la Corte territoriale
l'atteggiamento esasperato del K. ebbe a motivare plausibili sospetti nei
Carabinieri tali da giustificare un più approfondito controllo, mirato
all'accertamento della eventuale pericolosità dell'uomo ed alla inesistenza di
possibili situazioni di irregolarità o costituenti reato quali il porto
illecito di armi o oggetti atti all'offesa ovvero il trasporto di merci di
natura o provenienza illecita; conseguente la richiesta di uscire dall'autor,
seppur caratterizzata da un margine di esagerata precauzione, non costituiva
atto arbitrario perché legittimo, privo di prevaricazioni, prepotenze.
Sussistevano dunque i presupposti per l'accompagnamento coattivo dell'uomo in
caserma o per trattenerlo sul posto al completamento di tutti i necessari
accertamenti per essere il K. già responsabile dell'art. 651 c.p. nonché per le
ingiurie rivolte agli intervenuti; in ogni caso, poi, la reazione era del tutto
sproporzionata alla legittima attività di controllo ed alla richiesta di uscire
dall'auto.
9.3 Diversi i profili che minano in
radice la plausibilità delle argomentazioni seguite dai giudici dell'appello.
La decisione prende le mosse da un evidente salto logico: l'affermazione per la quale il contegno del ricorrente venne letto dai carabinieri intervenuti nei termini segnalati dalla Corte quanto al possibile sospetto che lo stesso fosse motivato dalle prospettiche illecite sopra rassegnate non trova, infatti, nel motivare stesso della Corte territoriale alcun immediato riferimento alle emergenze probatorie. Per quanto già osservato infatti, verbali e annotazioni di servizio danno esclusivamente conto della mera reiterata richiesta di generalità, già adempiuta, legando strumentalmente a siffatto incombente sia la sollecitazione ad uscire dalla macchina come anche il successivo forzato intervento volto a favorire la coattiva estrazione dell'imputato dal mezzo.
La decisione prende le mosse da un evidente salto logico: l'affermazione per la quale il contegno del ricorrente venne letto dai carabinieri intervenuti nei termini segnalati dalla Corte quanto al possibile sospetto che lo stesso fosse motivato dalle prospettiche illecite sopra rassegnate non trova, infatti, nel motivare stesso della Corte territoriale alcun immediato riferimento alle emergenze probatorie. Per quanto già osservato infatti, verbali e annotazioni di servizio danno esclusivamente conto della mera reiterata richiesta di generalità, già adempiuta, legando strumentalmente a siffatto incombente sia la sollecitazione ad uscire dalla macchina come anche il successivo forzato intervento volto a favorire la coattiva estrazione dell'imputato dal mezzo.
Gli elementi di sospetto addotti dalla
Corte costituiscono dunque, come è di tutta evidenza, il frutto di una mera
congettura tutt'altro che supportata probatoriamente, inidonea ad avvalorare il
percorso logico tracciato.
Parimenti inappropriato è il riferimento operato al disposto di cui al comma IV dell'art. 349 c.p.p, quale ulteriore ragione volta ad escludere l'arbitrarietà della condotta posta in essere dai carabinieri. È pacifico, per quanto detto nell'escludere la responsabilità ex art. 651 c.p., che il K. non ebbe a rifiutarsi di declinare le proprie generalità; quanto ai documenti, altrettanto pacificamente non ne era in possesso. Ora, va rammentato che per il disposto di cui all'art. 349 c.p.p., comma 4,è corretto l'accompagnamento forzato e la privazione della libertà personale dell'indagato, ai fini della sua identificazione ai sensi del secondo comma dello stesso articolo, solo nel caso in cui il soggetto richiesto o neghi ogni forma di collaborazione o fornisca generalità o documenti di identificazione in relazione ai quali sussistano sufficienti elementi per ritenerne la falsità. Nel caso in esame, nessuno di questi elementi sembra riscontrabile; e la mancanza di collaborazione non si è concretata nell'atto sollecitato finalizzato alla identificazione - le generalità da fornire - ma nell'intenzione del K. di non subire il contegno legato al dover scendere dall'auto per ribadire un dato già fornito.
Parimenti inappropriato è il riferimento operato al disposto di cui al comma IV dell'art. 349 c.p.p, quale ulteriore ragione volta ad escludere l'arbitrarietà della condotta posta in essere dai carabinieri. È pacifico, per quanto detto nell'escludere la responsabilità ex art. 651 c.p., che il K. non ebbe a rifiutarsi di declinare le proprie generalità; quanto ai documenti, altrettanto pacificamente non ne era in possesso. Ora, va rammentato che per il disposto di cui all'art. 349 c.p.p., comma 4,è corretto l'accompagnamento forzato e la privazione della libertà personale dell'indagato, ai fini della sua identificazione ai sensi del secondo comma dello stesso articolo, solo nel caso in cui il soggetto richiesto o neghi ogni forma di collaborazione o fornisca generalità o documenti di identificazione in relazione ai quali sussistano sufficienti elementi per ritenerne la falsità. Nel caso in esame, nessuno di questi elementi sembra riscontrabile; e la mancanza di collaborazione non si è concretata nell'atto sollecitato finalizzato alla identificazione - le generalità da fornire - ma nell'intenzione del K. di non subire il contegno legato al dover scendere dall'auto per ribadire un dato già fornito.
Soprattutto, la sentenza di secondo
grado si mostra gravemente e definitivamente deficitaria laddove raccorda
logicamente ed eziologicamente la reazione concretante la resistenza al
controllo operato dai carabinieri ed alla richiesta di uscire dall'auto. Ma è
pacifico che il contegno del K. ebbe ad assumere toni di mera passività, al più
scanditi da affermazioni ingiuriose, sino a quando non venne a concretarsi il
tentativo dei carabinieri volto ad estrarre con violenza l'imputato dall'auto
forzandone evidentemente la volontà; ed è questo l'elemento determinante della
vicenda che ha finito per sfalsare le conclusioni sottese alle due decisioni di
merito, rendendo quella di secondo grado e di condanna evidentemente recessiva
rispetto alla logicità che permea la prima. Se, infatti, si muove dall'assunto
che le generalità richieste erano state fornite ; che la richiesta di scendere
dal mezzo e le successive condotte dei carabinieri erano esclusivamente volte a
tale fine e non supportate da altre ragioni, ecco che l'atteggiamento tenuto
dai carabinieri, concretatosi nel tentativo forzato e violento di costringere
il K. ad uscire dal mezzo contro la sua volontà concretava un consapevole
travalicamento dei limiti e delle modalità di esercizio delle relative funzioni
pubbliche tanto da giustificare la reazione immediata del privato volta a
contrastare tale ultimo atteggiamento rendendo, in coerenza al ritenere del
primo decidente, inapplicabile la norma contestata in ragione della
riferibilità alla specie della scriminante prevista dall'art. 4 DLVO 288/44.
Da qui l'annullamento anche della
sentenza di condanna con riferimento alla contestata resistenza ex art. 337 c.p.
10. In coerenza con le conclusioni del
Tribunale, infine, va rimarcato che la esclusa sussistenza del reato di cui al
capo A, determina la conseguente improseguibilità dell'azione penale legata
alle lesioni di cui al capo B. Le stesse infatti non sono procedibili d'ufficio
in quanto lievissime; e la procedibilità nella specie è esclusa dalla
remissione della querela nonché dal venir meno delle aggravanti ex art. 61 nr 2
e 10 originariamente contestate per il collegamento delle lesioni alla
resistenza di cui al capo A, ritenuta insussistente.
Ne consegue l'annullamento della
sentenza impugnata.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata.