Corte
di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 19 novembre 2013 – 22 gennaio 2014, n.
2880
Presidente Squassoni – Relatore Franco
Presidente Squassoni – Relatore Franco
Svolgimento del
processo
Il
giudice di pace di Avellino condannò D.R.A. alla pena ritenuta di giustizia,
oltre al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, per il
reato di lesioni personali colpose cagionate a S.C. - ed attestate da
certificazione ospedaliera - per colpa consistita nel mal governo del suo cane
che aveva morso la S. al braccio sinistro. Il giudicante dette conto del
proprio convincimento, circa la ritenuta colpevolezza dell'imputata osservando:
a) che le dichiarazioni rese in dibattimento dalla parte lesa, circa
l'individuazione del cane e la sua appartenenza alla casa dell'imputata,
avevano trovato riscontro in quanto riferito dai testi escussi; b) che doveva
presumersi che la rete sulla recinzione dell'abitazione dell'imputata era stata
apposta dopo il fatto.
La
IV sezione di questa Corte, con sentenza n. 46970 del 2011, annullò la sentenza
di condanna perché basata sulla deposizione testimoniale della persona offesa,
la quale invece non aveva mai deposto in dibattimento.
Il giudice di pace di Avellino, in sede di rinvio, con la sentenza in epigrafe confermò la condanna dell'imputata per il reato di lesioni personali colpose cagionate a S.C. per colpa consistita nel mal governo del suo cane e nel mancato rispetto degli obblighi di vigilanza e di custodia, per averlo lasciato libero nel suo giardino non adeguatamente recintato. Il giudice basò la dichiarazione di responsabilità sulle dichiarazioni della persona offesa, confermate da quelle di altri testi e dal referto medico.
Il giudice di pace di Avellino, in sede di rinvio, con la sentenza in epigrafe confermò la condanna dell'imputata per il reato di lesioni personali colpose cagionate a S.C. per colpa consistita nel mal governo del suo cane e nel mancato rispetto degli obblighi di vigilanza e di custodia, per averlo lasciato libero nel suo giardino non adeguatamente recintato. Il giudice basò la dichiarazione di responsabilità sulle dichiarazioni della persona offesa, confermate da quelle di altri testi e dal referto medico.
L'imputata,
a mezzo dell'avv. Giacinto Pelosi, propone ricorso per cassazione deducendo:
1)
erronea applicazione dell'art. 590, dell'art. 672 e dell'art. 40 cod. pen.
Osserva che secondo il giudice di pace: il cane era all'interno della proprietà
D.R. e non sulla strada; la proprietà D.R. era chiusa e recintata anche da
sbarre alte di ferro infisse al di sopra di un muretto di recinzione alto circa
un metro e mezzo; nella casa con antistante piccolo giardino, vi era "un
signore anziano", ossia il padre dell'imputata. Evidenzia che pertanto il
cane di piccola taglia non era stato lasciato solo ma era stato temporaneamente
affidato a una persona di famiglia perfettamente in grado di governarlo. Il
reato di cui all'art. 590 cod. pen. avrebbe dovuto al massimo essere contestato
a costui, mentre a lei non può essere addebitato alcun comportamento negligente
avendo affidato in custodia il proprio cane a persona perfettamente in grado di
gestirlo. Pertanto, anche ad ammettere che il cane sia riuscito a infilare la
testa tra le sbarre infisse al di sopra della recinzione e a mordere la S. , vi
sarebbe spazio solo per una azione civile, ma non per una responsabilità penale
in capo alla D.R. , non essendo ravvisabile a suo carico alcun comportamento
colposo od omissivo.
2) violazione di legge e contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione in relazione agli artt. 40, 41, comma 2,
e 590 cod. pen. Lamenta che il giudice di pace ha assunto come scontata la
circostanza di fatto, invece non provata, che la persona offesa sia stata morsa
dal cane di proprietà della ricorrente e che costei non lo avrebbe custodito
diligentemente. La teste F., invero, non ha assistito al fatto, mentre le
dichiarazioni della S. sono inattendibili per le numerosissime contraddizioni,
sfuggite al giudice pur essendo state evidenziate in sede di discussione dalla
difesa dell'imputata, con le conseguenti contraddittorietà e illogicità della
motivazione della sentenza.
3) violazione degli artt. 40, 41 e 590 cod. pen. in quanto il giudice di pace non ha in alcun modo valutato l'esistenza o meno di un nesso di causalità tra il comportamento della ricorrente D.R.A. e l'evento lesivo lamentato dalla querelante S.C. . Infatti, anche ad ipotizzare che nel fatto de quo sia ravvisabile la fattispecie di cui all'art. 590 cod. pen., ci si troverebbe in presenza di un classico caso di reato omissivo improprio, per la cui configurabilità vanno applicati i principi affermati dalle Sezioni Unite con la nota "sentenza Franzese" del 10 luglio 2002 n. 30328. Invece, proprio la ricostruzione del fatto operata dal giudice di pace esclude che vi sia stata qualche condotta omissiva dell'imputata che giustifichi la condanna, mancando ogni possibilità di individuare o anche soltanto ipotizzare quale potrebbe essere stata, oltre i già visti "sistemi di sicurezza" in atto (muretto di circa un metro e mezzo con infisse al di sopra le sbarre di ferro, recinzione dello spazio circostante la casa e nel quale il cane poteva muoversi senza tuttavia poter andare all'esterno, ecc), un'omissione dell'imputata idonea ad essere considerata condizione necessaria dell'evento lesivo con "alto o elevato grado di credibilità razionale" o "probabilità logica".
Motivi della
decisione
Il ricorso è fondato.
Va preliminarmente osservato che nella specie
non si tratta di accertare la responsabilità civile dell'imputata per i danni
arrecati a terzi dal cane di sua proprietà, bensì la responsabilità penale
della stessa, responsabilità che, com'è noto, è esclusivamente personale e può
derivare unicamente da un comportamento colposo (o doloso) del soggetto.
La
sentenza impugnata ha ravvisato il detto comportamento colposo della D.R. nel
fatto che questa, uscendo da casa, aveva lasciato il suo cane non adeguatamente
custodito nel giardino non adeguatamente recintato, con violazione delle regole
cautelari. La sentenza ha poi ritenuto il nesso di causalità tra il mancato
rispetto degli obblighi di custodia e vigilanza e le lesioni patite dalla
querelante.
Sennonché
la motivazione appare carente e viziata, sotto i profili che seguono.
Innanzitutto,
dalla sentenza impugnata non si riesce a comprendere come si sia svolta la
vicenda. Si afferma infatti: - che la S. aveva parcheggiato la sua auto vicino
alla casa della D.R. ; - che nel riprenderla aveva aperto lo sportello
avvicinandosi alla abitazione della D.R. e in quel momento il cane aveva sporto
la testa fuori dalla inferriata e la aveva morsa; - che aveva immediatamente
citofonato e le aveva risposto il padre dell'imputata; - che il cane si trovava
nel giardino della proprietà D.R. ; - che il giardino aveva una recinzione alta
a sbarre.
Orbene, non è spiegato come il cane, avendo
sporto solo la testa dalla recinzione a sbarre, abbia morso il gomito del braccio sinistro della S. che stava
aprendo, dal lato del conducente, lo sportello della sua auto parcheggiata
vicino alla casa ed al giardino in questione.
Nemmeno
è poi in alcun modo spiegato perché il giardino è stato ritenuto “non
adeguatamente recintato” pur essendo stato accertato che vi era una “recinzione
alta a sbarre” e che il cane si trovava all'interno del detto giardino.
Manca
altresì la motivazione sulla ragione per la quale è stato ritenuto che
l'imputata avrebbe lasciato il suo cane “non adeguatamente custodito”, in
violazione dei suoi obblighi di vigilanza e di custodia, quando è stato
accertato che la D.R. aveva lasciato il cane, di piccola taglia, in affidamento
al padre e chiuso all'interno del giardino munito di una “recinzione alta a
sbarre”.
Non
è spiegato perché il comportamento omissivo colposo rilevante sotto il profilo
penale non è stato ravvisato in capo al padre dell'imputata, che in quel
momento aveva il cane in custodia, e soprattutto non è stato indicato il nesso
di causalità tra l'evento lesivo e il comportamento tenuto dall'imputata.
Difatti, esattamente il ricorrente rileva che nella specie si tratterebbe di un
classico caso di reato omissivo improprio, per cui devono essere applicati i
principi stabiliti dalla nota sentenza delle Sez. Un., 10.7.2002, n. 30328,
Franzese, m. 222138, secondo cui “Nel reato colposo omissivo improprio il
rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente
sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere
verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso
è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l'azione
che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’interferenze di decorsi causali
alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe
avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o
con minore intensità lesiva”. Nella specie non è stato specificato quale
sarebbe stato l’ulteriore comportamento che l’imputata avrebbe dovuto tenere,
oltre a quelli già esposti in atto (chiusura del cane nel giardino, recinzione
alta a sbarre di ferro, affidamento del cane al padre) per impedire l’evento
lesivo e quindi non è stata specificata l’omissione dell’imputata idonea ad
essere considerata condizione necessaria dell’evento lesivo con “alto o elevato
grado di credibilità razionale” o “probabilità logica”.
La sentenza impugnata deve dunque essere
annullata con rinvio per nuovo esame al giudice di pace di Avellino, altro
giudicante.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione annulla la sentenza impugnata con rinvio al giudice di pace di Avellino.
La Corte Suprema di Cassazione annulla la sentenza impugnata con rinvio al giudice di pace di Avellino.