SENTENZA N. 164
ANNO 2012
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Franco GALLO,
Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI,
Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo
Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro
CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio
LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta
CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario
MORELLI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo
49, commi 4-bis e 4-ter, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure
urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività
economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010,
n. 122, e dell’art. 5, commi 1, lettera b), e 2, lettere b) e c), del
decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo – Prime
disposizioni urgenti per l'economia), convertito, con modificazioni,
dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, promossi dalla Regione autonoma
Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste e dalle Regioni Toscana, Liguria,
Emilia-Romagna, Puglia e nuovamente Emilia-Romagna, notificati il 24-27,
il 28 settembre 2010 e il 9 settembre 2011, depositati in cancelleria
il 28 e il 30 settembre, il 6 e il 7 ottobre 2010 e il 15 settembre
2011, rispettivamente iscritti ai nn. 96, 97, 102, 106 e 107 del
registro ricorsi 2010 ed al n. 91 del registro ricorsi 2011.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica dell’8 maggio 2012 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo;
uditi gli avvocati Ulisse Corea per la Regione autonoma
Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, Giandomenico Falcon per le Regioni Liguria
ed Emilia-Romagna, Stefano Grassi per la Regione Puglia, Marcello
Cecchetti per la Regione Toscana e gli avvocati dello Stato Massimo
Salvatorelli e Antonio Tallarida per il Presidente del Consiglio dei
ministri.
Ritenuto in fatto
1.— Con ricorso notificato al Presidente del Consiglio
dei ministri il 24 settembre 2010, depositato presso la cancelleria
della Corte costituzionale il 28 settembre successivo (r.r. n. 96 del
2010), la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste ha chiesto che
sia dichiarata l’illegittimità costituzionale di numerose norme del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di
stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito,
con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010,
n.122.
2.— In particolare, la ricorrente ha impugnato l’art.
49, comma 4-ter, della citata normativa, deducendone il contrasto con
l’articolo 117 della Costituzione, in combinato disposto con l’art. 10
della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V
della parte seconda della Costituzione), nonché con gli artt. 2, primo
comma, lettere g), p) e q), e 3, primo comma, lettera a), della legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle
d’Aosta) e con le relative norme di attuazione, nonché, in subordine,
col principio costituzionale di leale collaborazione.
La norma impugnata dispone che il comma 4-bis del
medesimo art. 49, il quale sostituisce il testo dell’art. 19 della legge
7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento
amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi),
«attiene alla tutela della concorrenza ai sensi dell’articolo 117,
secondo comma, lettera e), della Costituzione, e costituisce livello
essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali ai
sensi della lettera m) del medesimo comma».
Tale previsione, nel definire l’ambito materiale cui
deve ascriversi la disciplina sulla «Segnalazione certificata di inizio
attività» (d’ora in avanti, SCIA), dettata dal citato art. 49, comma
4-bis, la riconduce alla competenza legislativa esclusiva dello Stato e,
dunque, individua nella legge statale la sola fonte competente ad
intervenire in tema di SCIA. Inoltre, il comma 4-ter, nel prevedere che
«le espressioni «segnalazione certificata di inizio attività» e «SCIA»
sostituiscono, rispettivamente, quelle di «dichiarazione di inizio
attività» e «DIA», ovunque ricorrano, anche come parte di una
espressione più ampia», stabilisce che «la disciplina di cui al comma
4-bis sostituisce direttamente, dalla data di entrata in vigore della
legge di conversione del presente decreto, quella della dichiarazione di
inizio attività recata da ogni normativa statale e regionale». Stando a
tale ultima previsione, dunque, la nuova disciplina sulla SCIA si
sostituisce a quella già esistente in tema di DIA, modificando, non solo
la previgente normativa statale, ma anche quella regionale.
La disposizione statale censurata, se ritenuta
applicabile anche alla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste,
violerebbe l’assetto costituzionale delle competenze regionali delineato
nello statuto speciale, nonché nell’art. 117 Cost., per la parte in cui
devono applicarsi anche alla Regione le più ampie forme di autonomia
ivi previste ai sensi dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del
2001.
3.— Posto che l’autoqualificazione di una norma come
inerente ad una determinata materia non ha carattere precettivo e
vincolante (e quindi è priva di contenuto lesivo), dovrebbe considerarsi
– secondo la Regione ricorrente – che l’art. 49, comma 4-ter, del d.1.
n. 78 del 2010 effettui un’erronea individuazione dell’ambito materiale
cui ascrivere la disciplina della SCIA. Quest’ultima, infatti, non
potrebbe considerarsi attinente alla «tutela della concorrenza»,
annoverata tra le voci di legislazione esclusiva statale ai sensi
dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., e nemmeno costituirebbe
livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e
sociali di cui alla lettera m) dell’art. 117, secondo comma, Cost.
La ratio della disciplina non sarebbe quella di
eliminare pratiche anticoncorrenziali o di rimuovere elementi distorsivi
del mercato, e neanche quella di promuovere un ampliamento delle
possibilità di accesso degli attori che vi operano, pur non potendosi
escludere che, indirettamente, la disciplina in tema di SCIA possa avere
l’effetto di ridurre una delle barriere in grado di ostacolare, in
fatto, l’ingresso del privato nell’esercizio di una nuova attività
imprenditoriale o commerciale, facilitandone l’inserimento sul mercato.
Tale disciplina avrebbe l’obiettivo di alleggerire gli oneri
amministrativi ricadenti sul privato per l’avvio di talune attività di
rilievo imprenditoriale, commerciale o artigianale, riducendo costi e
tempi, e di semplificare le funzioni amministrative di controllo ad esse
relative, riducendo i costi organizzativi e finanziari connessi al
rilascio degli atti amministrativi.
In conclusione, sarebbe da escludere che la disciplina
sulla SCIA possa per ciò stesso ascriversi, anche solo in via
prevalente, al titolo competenziale individuato dal legislatore statale
nell’art. 117, secondo comma, lettera e), e cioè alla tutela della
concorrenza. Esulerebbero da tale «materia trasversale» gli interventi
legislativi che incidono – come l’art. 49-bis del d.l. n. 78 del 2010 –
sulla disciplina delle modalità attraverso le quali le pubbliche
amministrazioni sono chiamate a controllare l’attività dei privati in
campo economico per la salvaguardia degli interessi pubblici di volta in
volta implicati.
Nemmeno potrebbe condividersi l’autoqualificazione della
disciplina sulla SCIA come «livello essenziale delle prestazioni»,
riconducibile alla competenza annoverata nell’art. 117, secondo comma,
lettera m), Cost., tra le voci di legislazione esclusiva dello Stato.
Come osservato dalla giurisprudenza costituzionale, la determinazione
dei livelli essenziali costituirebbe una competenza del legislatore
statale idonea ad investire tutte le materie, rispetto alle quali il
legislatore stesso dovrebbe poter introdurre le norme necessarie per
assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il godimento di
prestazioni garantite, come contenuto essenziale di diritti civili e
sociali, ma non potrebbe essere invocata in relazione a norme statali
dirette ad altri fini. Sarebbe di immediata evidenza come la disciplina
dettata dall’art. 49-bis del d.l. n. 78 del 2010 non abbia nulla a che
vedere con la determinazione dei livelli essenziali di prestazioni, non
configurando né prestazioni che costituiscano contenuto essenziale di
diritti né livelli essenziali riferiti a tali prestazioni.
La ricorrente aggiunge che la disciplina introdotta
dall’art. 49, comma 4-bis, non potrebbe ricondursi ad un’unica materia o
voce contenuta negli elenchi dell’art. 117 Cost., ma coinvolgerebbe una
pluralità di materie, in relazione al settore sul quale incidono i
relativi procedimenti amministrativi ed in considerazione dei diversi
interessi che possono risultarne coinvolti. Dovrebbe comunque ritenersi
che la disciplina della SCIA sia ascrivibile, in modo prevalente,
all’ambito dell’industria, del commercio e dell’artigianato, cioè a
materie spettanti alla competenza residuale delle Regioni, ai sensi del
quarto comma dell’art. 117 Cost., e, dunque, anche alla competenza
legislativa della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, in
virtù della clausola di cui all’art. 10 della legge costituzionale n. 3
del 2001. Inoltre, la disciplina sulla segnalazione certificata di
inizio attività coinvolgerebbe ambiti materiali ricadenti nella
competenza legislativa primaria attribuita alla ricorrente dall’art. 2,
primo comma, lettere p) e q) dello statuto speciale, e consistenti,
rispettivamente, nelle materie «artigianato» ed «industria alberghiera,
turismo e tutela del paesaggio», nonché nella competenza della Regione
ad emanare norme legislative di integrazione e di attuazione delle leggi
della Repubblica nella materia «industria e commercio», ai sensi
dell’art. 3, primo comma, lettera a), del medesimo statuto.
Qualora si ritenesse, poi, che la disciplina recata
dalla norma impugnata si estenda, altresì, ad aspetti riconducibili alla
pianificazione territoriale, essa finirebbe per incidere anche in
materia «urbanistica, piani regolatori per zone di particolare
importanza turistica», di competenza legislativa primaria della
ricorrente ai sensi dell’art. 2, comma 1, lettera g), dello statuto
speciale.
La disciplina dei profili procedimentali connessi alle
richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o
artigianale non potrebbe in definitiva ascriversi, nella sua totalità,
ad una competenza esclusiva dello Stato, dal momento che essa insiste in
modo prevalente su ambiti di legislazione regionale, di natura
esclusiva o concorrente.
4.— Ciò premesso, la previsione contenuta nella seconda
parte dell’art. 49, comma 4-ter, del d.l. n. 78 del 2010, in base alla
quale la disciplina sulla SCIA, di cui al comma 4-bis, sostituirebbe
direttamente quella della DIA, prevista da qualsiasi normativa statale e
regionale, dovrebbe ritenersi lesiva delle competenze legislative
attribuite dalle citate norme costituzionali alla Regione autonoma Valle
d’Aosta /Vallée d’Aoste
L’abrogazione immediata, diretta ed indiscriminata, di
ogni normativa di settore adottata dalla Regione nella quale sia stata
prevista la DIA, indipendentemente dall’ambito materiale coinvolto, e la
contestuale sostituzione di tale normativa con quella dettata dal
legislatore statale in tema di SCIA, si porrebbe in contrasto insanabile
con le garanzie costituzionali concernenti il riparto delle competenze
legislative tra lo Stato e le Regioni ed in particolare con l’autonomia
legislativa della Regione ricorrente.
La previsione del legislatore statale disconoscerebbe le
più elementari regole che presiedono al riparto delle competenze
legislative, accolte nel nostro ordinamento costituzionale, e
segnatamente quella che impedisce di risolvere i rapporti tra le fonti
statali e quelle regionali in termini di mera gerarchia, riconoscendo al
legislatore statale la possibilità di abrogare la disciplina regionale
senza alcuna considerazione delle sfere di competenza coinvolte. Anche
laddove il legislatore statale intendesse disciplinare e regolare
l’esercizio delle funzioni amministrative attinenti alla conformazione
dell’attività dei privati in ambito imprenditoriale, commerciale o
artigianale, al fine di assicurare esigenze di uniformità, non potrebbe
comunque disporre legittimamente l’abrogazione delle vigenti discipline
settoriali della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste,
procedendo alla sostituzione di esse con la nuova disciplina statale, ma
semmai prevedere un obbligo di adeguamento da parte della Regione, che
sarebbe chiamata ad intervenire comunque con fonti regionali, attraverso
un rinnovato esercizio della potestà legislativa ad essa attribuita
negli ambiti materiali coinvolti. In tale ultima ipotesi, peraltro,
stante la significativa incidenza della disciplina statale su ambiti
materiali spettanti alla competenza esclusiva o concorrente regionale,
dovrebbe essere assicurato il coinvolgimento della Regione stessa nella
decisione del legislatore statale, attraverso meccanismi di raccordo o
concertazione reputati idonei al sostanziale rispetto del principio di
leale collaborazione.
5.— Anche ove si ritenesse che la disciplina statale
censurata sia riconducibile alla competenza trasversale dello Stato in
materia di «concorrenza» e di «livelli essenziali delle prestazioni», la
stessa risulterebbe – a dire della ricorrente – del pari
costituzionalmente illegittima, per violazione del principio di leale
collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost. Tale disciplina, infatti,
inciderebbe in maniera significativa sulle competenze regionali, con la
conseguenza che lo Stato avrebbe dovuto prevedere meccanismi di
reciproco coinvolgimento e di coordinamento del livello di governo
statale e regionale.
6.— Nel giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri.
La difesa erariale eccepisce, in via preliminare, «la
tardività del ricorso proposto avverso le norme del decreto legge non
modificate in sede di conversione e quindi, in ipotesi, immediatamente
lesive».
Nel merito, sostiene l’infondatezza del ricorso,
relativamente all’art. 49, commi 4-bis e 4-ter, del d.l. n. 78 del 2010,
ponendo in evidenza che le norme in esame sarebbero dirette a favorire
la ripresa e lo sviluppo del sistema produttivo su tutto il territorio
nazionale con caratteri di omogeneità, in un’ottica di maggiore
competitività delle imprese. E, data la necessità di un tempestivo
intervento volto a fronteggiare l’attuale situazione di crisi
economico-finanziaria internazionale, tali disposizioni non potrebbero
che avere effetto immediato.
Peraltro, l’istituto della SCIA non sarebbe nuovo, ma
costituirebbe la modifica e semplificazione di altro analogo, la DIA,
già previsto dall’ordinamento e già positivamente scrutinato dalla Corte
costituzionale, nel senso che esso integrerebbe un nuovo principio
fondamentale del governo del territorio (alternativo alla licenza o
concessione edilizia): anche la norma attuale da una parte continuerebbe
ad integrare un principio fondamentale e dall’altra – nelle sue
modifiche e semplificazioni – sarebbe ispirata alla tutela della
concorrenza (incrementando e agevolando le attività edilizie) per quanto
riguarda gli operatori del settore, e ai livelli essenziali delle
prestazioni per i cittadini interessati ad una sollecita risposta e allo
svolgimento di tali attività, materie, queste, di esclusiva competenza
statale.
7.— Con ricorso notificato al Presidente del Consiglio
dei ministri il 28 settembre 2010, depositato presso la cancelleria
della Corte costituzionale il 30 settembre successivo (r.r. n. 97 del
2010), la Regione Toscana ha impugnato alcune norme del d.l. n. 78 del
2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, e tra
queste, l’art. 49, commi 4-bis e 4-ter, per violazione dell’art. 117,
terzo comma e 121, secondo comma, Cost.
8.— La ricorrente contesta le disposizioni impugnate,
ove ritenute applicabili anche al settore dell’edilizia, secondo le
indicazioni in tale senso pervenute dalle autorità ministeriali. A
dispetto della tradizionale diversificazione delle discipline della DIA
edilizia e di quella commerciale – la prima regolata dall’art. 22 del
decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo
unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia
–Testo A), e la seconda dall’art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241
(Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di
accesso ai documenti amministrativi) – ora la disciplina sembrerebbe
unificata, ed il privato potrebbe iniziare subito l’attività edilizia
senza attendere alcun termine, restando alla pubblica amministrazione
soltanto il potere di intervenire successivamente, quando i lavori siano
già iniziati (o anche finiti), con un danno urbanistico ormai prodotto
(si pensi agli interventi di ristrutturazione edilizia o agli interventi
di nuova costruzione o di ristrutturazione urbanistica).
Queste attività potevano essere iniziate dopo trenta
giorni dalla presentazione della DIA e tale termine avrebbe
rappresentato un equilibrato compromesso tra le esigenze di controllo
preventivo della pubblica amministrazione e le esigenze del proprietario
costruttore ad iniziare rapidamente i lavori, confidando di poter
evitare rischi di ordinanze successive di demolizione.
La normativa in esame violerebbe le competenze regionali
in materia di «governo del territorio» che, ai sensi dell’art. 117,
terzo comma, Cost., è attribuita alla potestà legislativa concorrente e
in cui lo Stato deve porre i principi fondamentali, lasciando poi alle
Regioni lo sviluppo e la specificazione della disciplina.
Non sarebbe sufficiente la mera autoqualificazione
formale operata dal legislatore statale per ricondurre una disciplina
nell’ambito della competenza esclusiva dello Stato (tutela della
concorrenza, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e, e
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera
m), essendo necessario esaminarne il contenuto sostanziale e verificare
se lo scopo cui la norma tende permetta di ricondurre la stessa in tale
ambito. Risulterebbe evidente che la SCIA edilizia non sarebbe uno
strumento per tutelare la concorrenza.
Con la SCIA la pubblica amministrazione abiliterebbe il
privato a realizzare un determinato intervento edilizio, ricorrendone i
presupposti in base alla pianificazione territoriale: verrebbe in
questione il rapporto tra l’Amministrazione ed il privato e non invece
la concorrenza tra gli imprenditori aventi diritto alla parità di
trattamento e ad agire in un mercato libero senza barriere, poiché
questo sarebbe l’oggetto della lettera e) del secondo comma dell’art.
117 Cost.
Non pertinente sarebbe il riferimento alla lettera m)
del secondo comma dell’art. 117 Cost., perché la disciplina della SCIA
edilizia non fisserebbe un livello essenziale delle prestazioni da
garantire su tutto il territorio nazionale. Nel caso in esame la
normativa statale non definirebbe il livello essenziale di erogazione,
in relazione a specifiche prestazioni: il momento in cui l’attività
edilizia potrebbe essere iniziata (subito o dopo trenta giorni) non
costituirebbe una prestazione concernente un diritto.
In definitiva, escludendosi i due titoli di competenza
statale richiamati dal comma 4-ter, la disciplina in esame finirebbe per
ricadere nella materia del «governo del territorio», soggetto alla
potestà legislativa concorrente, da ritenere comprensiva di tutto ciò
che attiene all’uso del territorio e alla localizzazione di impianti o
attività.
Posto che alla legislazione di principio spetterebbe di
prescrivere criteri e obiettivi, mentre a quella di dettaglio sarebbe
riservata l’individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per
raggiungere tali obiettivi, la normativa in esame si risolverebbe in una
disciplina dettagliata e specifica, che non lascerebbe alcuno spazio al
legislatore regionale, il quale, viceversa, dovrebbe poter decidere, in
base alla realtà del proprio territorio, se consentire al privato di
iniziare l’attività immediatamente, o attendere un termine da esso
stabilito. Essa, pertanto, oltrepasserebbe i confini delle competenze
che, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., spettano al legislatore
statale in materia di «governo del territorio».
9.— La nuova SCIA, secondo il disposto del comma 4-ter,
travolgerebbe tutte le norme regionali (oltre che statali) in materia.
La Regione Toscana avrebbe emanato una normativa organica in materia di
governo del territorio, la legge regionale 3 gennaio 2005, n. 1 (Norme
per il governo del territorio), e, in applicazione dell’art. 22, comma
4, del d.P.R. n. 380 del 2001, avrebbe ampliato autonomamente le
categorie di opere per cui era prevista la DIA. Il legislatore statale
abrogherebbe con effetto immediato questa legislazione regionale di
settore, sostituendola unilateralmente con una disciplina che non
permetterebbe più un controllo preventivo dell’Amministrazione.
In ciò sarebbe ravvisabile la violazione dell’autonomia
legislativa del Consiglio regionale, in contrasto con l’art. 121,
secondo comma, Cost., perché il legislatore statale non potrebbe
intervenire direttamente ad abrogare e sostituire norme approvate dal
Consiglio regionale, spettando invece a quest’ultimo adeguarsi ai nuovi
principi posti dal legislatore statale.
10.— Nel giudizio si è costituito il Presidente del
Consiglio dei ministri. La difesa erariale deduce l’infondatezza del
ricorso, relativamente all’art. 49, commi 4-bis e 4-ter, del d.l. n. 78
del 2010, svolgendo difese analoghe a quelle esposte nel giudizio
precedente.
11.— Con ricorso notificato al Presidente del Consiglio
dei ministri il 28 settembre 2010, depositato presso la cancelleria
della Corte costituzionale il 10 ottobre successivo (r.r. n. 102 del
2010), la Regione Liguria ha impugnato, tra l’altro, l’art. 49, commi
4-bis e 4-ter, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni,
dalla legge n. 122 del 2010, per violazione degli artt. 3, 97, 114,
secondo comma, 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost.
La ricorrente premette che l’art. 49, comma 4-bis,
prevede l’integrale sostituzione dell’art. 19 della legge n. 241 del
1990, relativo alla DIA, con il nuovo istituto della SCIA. Rispetto alla
versione precedente, il nuovo art. 19 si caratterizzerebbe per il fatto
di prevedere in ogni caso la facoltà di avvio immediato dell’attività,
contestualmente alla presentazione della segnalazione, generalizzando
così la previsione contenuta nel decreto legislativo 26 marzo 2010, n.
59 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel
mercato interno), che aveva reintrodotto, per le attività di cui alla
medesima direttiva, la DIA cosiddetta «ad effetto immediato». Si
riproporrebbe in tal modo, in chiave generale, la configurazione
originariamente prevista per la DIA dal legislatore del 1990, quale
dichiarazione contestuale all’avvio dell’attività.
Inoltre, la scomparsa della precisazione contenuta nel
precedente vecchio comma 4 dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990 (il
quale stabiliva che «restano ferme le disposizioni di legge vigenti che
prevedono termini diversi da quelli di cui ai commi 2 e 3 per l’inizio
dell’attività e per l’adozione da parte dell’amministrazione competente
di provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione
dei suoi effetti»), unitamente alla previsione contenuta nell’art. 49,
comma 4-ter (in forza della quale, «la disciplina di cui al comma 4-bis
sostituisce direttamente, dalla data di entrata in vigore della legge di
conversione del presente decreto, quella della dichiarazione di inizio
attività recata da ogni normativa statale e regionale»), deporrebbe nel
senso di ritenere che alla nuova SCIA debba essere integralmente
ricondotta anche la preesistente disciplina in materia di «DIA
edilizia». Quest’ultima, fino ad ora, avrebbe mantenuto profili di
autonomia rispetto al modello di DIA generale.
Nel senso dell’integrale sostituzione della DIA edilizia
con la nuova SCIA si sarebbe espressa anche la nota 16 settembre 2010
del Ministero per la semplificazione normativa: la quale – oltre che
sulla base dei profili dinanzi indicati – perverrebbe a tale conclusione
anche alla luce delle indicazioni emerse nel corso dei lavori
parlamentari, nonché in considerazione dell’innovativo riferimento –
contenuto nel comma 1 del nuovo art. 19 della legge n. 241 del 1990 –
alle «asseverazioni di tecnici abilitati», espressione che richiamerebbe
il contenuto dell’art. 23 del d.P.R. n. 380 del 2001 in materia
urbanistico-edilizia.
12.— Secondo la Regione Liguria, la nuova disciplina
della SCIA risulterebbe costituzionalmente illegittima, in primo luogo, e
con riferimento agli ambiti non edilizi, perché la dettagliata
previsione dei moduli procedimentali (che, ai sensi del comma 4-ter,
sarebbero destinati a sostituire automaticamente tutte le discipline
regionali in materia di DIA), finirebbe per invadere la competenza
regionale in molti ambiti di legislazione residuale regionale, ai sensi
dell’art. 117, quarto comma, Cost., in particolare con riferimento a
commercio, artigianato, turismo e attività produttive in genere. La
lesione così determinata delle prerogative regionali non sarebbe certo
esclusa in conseguenza della autoqualificazione recata dal comma 4-ter.
Al contempo, la puntuale disciplina delle modalità di
intervento attraverso l’esercizio del potere di inibizione e di
conformazione dell’attività – quale prevista al comma 3 del nuovo art.
19 della legge n. 241 del 1990 – interferirebbe con i poteri di
controllo il cui esercizio sarebbe attribuito alle amministrazioni
locali, con conseguente violazione dell’art. 114, secondo comma, Cost.,
che riconosce l’autonomia dei poteri degli enti locali, e dell’art. 118,
primo comma, Cost. che riconosce le funzioni amministrative dei Comuni.
13.— La previsione per cui la SCIA consentirebbe, in
materia edilizia, l’immediato avvio dell’attività, costituirebbe regola
di dettaglio, in quanto tale preclusa allo Stato in una materia – quella
del «governo del territorio» (cui, come noto, sarebbe riconducibile
l’edilizia) – demandata alla potestà legislativa concorrente, con
conseguente limitazione della potestà statale alla sola fissazione dei
principi.
Ponendo la regola che stabilisce dopo quanti giorni
dalla presentazione della segnalazione (nessuno, in questo caso) sarebbe
possibile iniziare l’attività, il legislatore statale non si
limiterebbe a fissare regole di principio, ma interverrebbe a
disciplinare i dettagli della materia. Nell’imporre non solo la DIA –
ora SCIA – in luogo del permesso edilizio, ma nel disciplinare le
modalità stesse di funzionamento della SCIA, nell’individuare il momento
nel quale il «segnalante» può realizzare il progetto (più che iniziare
una attività, come la denominazione dovrebbe far pensare), nel
disciplinare i tempi ed i limiti del potere o dovere di controllo
dell’amministrazione, lo Stato avrebbe chiaramente superato i limiti
della propria potestà legislativa concorrente di principio in materia di
governo del territorio.
Ulteriori criticità, in considerazione della peculiare
materia cui si riferisce, creerebbe l’estensione alla DIA edilizia della
facoltà di immediato inizio dell’attività (prevista al comma 2 del
novellato art. 19 della legge n. 241 del 1990).
La questione riguarderebbe, in particolare, l’ipotesi in
cui un soggetto inizi l’attività pur in assenza dei presupposti di
legge, sulla base di una SCIA contenente false dichiarazioni o,
comunque, altrimenti errata. Ferma restando la rivendicazione della
competenza regionale a disporre in materia, nei settori commerciali
l’immediato inizio di attività – pur in assenza dei presupposti
richiesti – non si presenterebbe di particolare gravità, giacché in
genere l’attivazione del potere inibitorio e di rimozione degli
eventuali effetti dannosi medio tempore prodotti (art. 19, comma 3)
potrebbe risultare idoneo (perlomeno astrattamente) a tutelare gli
interessi protetti dalle normative che prevedono il previo titolo
abilitativo (sostituito dalla SCIA), trattandosi di settori nei quali le
attività svolte, in linea di principio, non appaiono tali da
determinare effetti irreversibili.
L’attività edilizia invece, per sua natura, sarebbe
idonea a determinare immediatamente alterazioni materiali del
territorio, potenzialmente assai rilevanti, ed il ripristino non sempre
sarebbe possibile: sia sotto il profilo materiale (l’art. 33, comma 2,
del d.P.R. n. 380 del 2001 espressamente si occupa dei profili
sanzionatori di opere abusive, in relazione alle quali non sia possibile
il ripristino dello stato dei luoghi), sia per gli eccessivi costi che
il ripristino potrebbe comportare. Anche perché – a parte le enormi
difficoltà ed i costi che le Amministrazioni incontrano nell’ottenere la
demolizione degli interventi abusivi – non sempre i privati
trasgressori, che hanno dato inizio alla attività di trasformazione in
assenza dei presupposti, disporrebbero delle risorse per provvedere al
ripristino.
Non rileverebbe che gli interventi abusivamente eseguiti
in assenza o in difformità dalla DIA siano sottoposti, in linea
generale (e salvo eccezioni), alla sanzione pecuniaria, ai sensi
dell’art. 37 del d.P.R. n. 380 del 2001: il tempestivo impiego del
potere inibitorio da parte delle amministrazioni comunali sarebbe stato
comunque in grado di prevenire in radice la commissione dell’abuso (cosa
preferibile rispetto alla misura sanzionatoria successiva), anche con
riferimento a tipologie di interventi che, per quanto non consentite nel
caso concreto, fossero comunque astrattamente riconducibili all’ambito
di applicabilità della DIA. Ma, soprattutto, l’uso preventivo del potere
inibitorio sarebbe stato in grado di impedire il verificarsi
dell’eventualità, ben più grave, in cui il privato presentasse una DIA
per realizzare interventi che avrebbero invece richiesto il rilascio del
permesso di costruire (e che tuttavia non lo avrebbero concretamente
potuto conseguire per il contrasto con la disciplina normativa o di
piano). In tali casi, le amministrazioni comunali sarebbero state in
grado di intervenire bloccando l’esecuzione dei lavori prima
dell’inizio, mentre ciò non sarebbe ora più possibile.
Su queste premesse, sarebbe chiaro che la totale
eliminazione della possibilità delle amministrazioni (virtuose) di
operare un seppur rapido esame preventivo dei progetti, allo scopo di
impedire in radice la realizzazione degli abusi, si rivelerebbe non solo
una violazione della competenza regionale, ma anche una violazione del
principio di ragionevolezza e di buon andamento dell’amministrazione di
cui all’art. 97, primo comma, Cost.: una violazione che la Regione
sarebbe legittimata ad impugnare in quanto essa si tradurrebbe in una
limitazione della propria potestà legislativa.
Del tutto irragionevolmente, la disposizione censurata
avrebbe eliminato la clausola contenuta nel vecchio art. 19, comma 4, a
proposito della DIA edilizia, che stabiliva la salvezza delle
disposizioni di legge prevedenti termini diversi da quelli di cui ai
commi 2 e 3 per l’inizio dell’attività e per l’adozione, da parte
dell’amministrazione competente, di provvedimenti diretti a vietarne la
prosecuzione ed a rimuoverne gli effetti. In tal modo, si sarebbe
determinato un inammissibile sbilanciamento a favore dell’interesse ad
una rapida (rectius: immediata) definizione delle procedure abilitative
edilizie, sacrificando in misura del tutto irragionevole e
ingiustificata le esigenze della tutela del territorio, nonché quelle
organizzative delle stesse amministrazioni cui è affidato il potere di
verifica. Per non dire, poi, dell’interesse dei terzi che si vedano lesi
dall’attività costruttiva: la cui posizione – già tradizionalmente
sofferta, come ben noto, in materia di DIA edilizia – sarebbe
ulteriormente pregiudicata.
Non sarebbe neppure certo che la novella contestata vada
realmente nel senso di tutelare l’effettivo interesse del costruttore.
Chi realizza un intervento edilizio, infatti, avrebbe interesse a
conoscere in anticipo se quanto sta realizzando è o non è conforme a
diritto. Sotto tale profilo, l’immediato inizio dei lavori accentuerebbe
il rischio che quanto è in corso di realizzazione venga in seguito ad
incorrere nell’esercizio (ora solo successivo) del potere inibitorio.
In conclusione, il nuovo art. 19 della legge n. 241 del
1990, come modificato dall’art. 49, comma 4-bis, del d.l. n. 78 del 2010
si rivelerebbe costituzionalmente illegittimo nel suo comma 2, nella
parte in cui prevede la possibilità di iniziare l’attività costruttiva
alla data della presentazione della segnalazione (senza prevedere una
clausola di salvezza per le diverse disposizioni previste per la DIA
edilizia), per contrasto con l’art. 3 Cost., per violazione dei principi
di ragionevolezza e proporzionalità, nonché con l’art. 97 Cost., per
violazione del principio di buon andamento dell’attività amministrativa.
Nella misura in cui interferisce con i poteri di controllo di Comuni e
Regioni sull’attività edilizia, la disposizione sarebbe altresì
illegittima per violazione degli artt. 114 e 118 Cost.
14.— Per opportuna completezza – aggiunge la ricorrente –
la SCIA estremizzerebbe gli effetti di un sistema, quello della DIA,
che nel corso di un ventennio avrebbe dato cattiva prova di sé,
palesando rilevanti limiti e determinando oggettivi problemi di tenuta
complessiva, che la dottrina e la giurisprudenza (è richiamata la
sentenza del Tar Lombardia, Milano, 7 luglio 2004, n. 3086), non
avrebbero mancato di evidenziare. Il legislatore, anziché intervenire
con opportuni correttivi, avrebbe deciso di rendere ancora più
squilibrata la DIA (ora SCIA) edilizia, rimuovendo anche la tenue
garanzia rappresentata dall’inizio differenziato dei lavori.
Le considerazioni esposte sarebbero destinate ad
assumere ancora maggiore valenza ove si condivida quell’orientamento che
ritiene la SCIA applicabile in materia edilizia al posto non solo della
DIA «normale», ma anche della cosiddetta «super-DIA», di cui all’art.
22, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001. Il che aumenterebbe l’impatto
già problematico dell’istituto.
15.— Il comma 4-ter stabilisce che la disciplina della
SCIA, nella sua integralità, attiene alla tutela della concorrenza e
costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti
civili e sociali, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettere e) ed
m), Cost., e che «sostituisce direttamente [...] quella della
dichiarazione di inizio attività recata da ogni normativa statale e
regionale».
L’indicazione dei pretesi «titoli» della disciplina, e
degli effetti sulla normativa precedente, anche di fonte regionale,
renderebbe palese l’intendimento del legislatore statale di dettare una
normativa completa, autosufficiente, non derogabile dai legislatori
locali. Per questo il comma 4-ter sarebbe costituzionalmente
illegittimo.
Premesso che la autoqualificazione operata dal
legislatore non è vincolante, sarebbe da contestare anzitutto che la
disciplina sulla SCIA attenga effettivamente ai «livelli essenziali
delle prestazioni» di cui alla lettera m) dell’art. 117, secondo comma,
Cost., che consente allo Stato solo di fissare «standard strutturali e
qualitativi delle prestazioni da garantire agli aventi diritto». Con le
disposizioni sulla SCIA non si stabilirebbe invece alcuno standard
quantitativo o qualitativo di prestazioni determinate, attinenti a
questo o a quel «diritto» civile o sociale garantito dalla stessa
Costituzione, venendo al contrario regolato lo svolgimento della
attività amministrativa, in settori vastissimi ed indeterminati, alcuni
di indiscutibile competenza regionale, quali il governo del territorio,
la tutela della salute, l’ordinamento degli uffici regionali,
l’artigianato, il turismo, il commercio, materie spettanti alla Regione
in forza dell’art. 117, terzo e quarto comma, Cost.
Inoltre, non potrebbe essere confusa la determinazione
dei livelli delle prestazioni con la disciplina delle posizioni
soggettive degli amministrati; altrimenti, posto che ogni diritto o
interesse implica un qualche comportamento altrui (anche solo omissivo),
la competenza sulla materia della lettera m) dell’art. 117 Cost.
consentirebbe allo Stato qualunque intervento conformativo di qualsiasi
posizione soggettiva in qualunque materia regionale.
Tale confusione sarebbe particolarmente evidente nella
disciplina relativa alla SCIA, che, nella sua rigidità, potrebbe
determinare, in alcuni casi, una diminuzione dei livelli essenziali
delle prestazioni cui hanno diritto persone destinatarie dell’attività
assentita mediante la segnalazione certificata: quando, ad esempio, in
conseguenza delle limitazioni temporali e sostanziali alla attività di
accertamento e controllo della pubblica amministrazione, senza alcuna
considerazione per le singole realtà territoriali e organizzative, sia
praticamente impedita la verifica del rispetto di standard qualitativi
di determinate prestazioni attinenti ai diritti sociali.
Alcuni istituti di semplificazione amministrativa
potrebbero esprimere limiti vincolanti per le potestà legislative
regionali; ma ciò implicherebbe sempre una valutazione complessiva di
tutti gli interessi che vengono in rilievo nella singola materia
interessata, e il controllo, a sua volta, per essere effettivo, non
potrebbe che riguardare norme riferite a ben individuati settori. Il
punto di equilibrio tra l’interesse del singolo ad iniziare quanto prima
una certa attività, e l’esercizio del potere-dovere
dell’amministrazione di tutelare secondo legge gli altri interessi
toccati da quella attività, potrebbe essere diverso, a seconda che
questi ultimi attengano al governo del territorio oppure alla tutela
della salute o alla tutela del lavoro (il riferimento al governo del
territorio e alla tutela della salute e del lavoro non è casuale,
evocando interessi che il comma 4-bis non prende in considerazione ai
fini della esclusione dall’ambito di operatività della SCIA).
Aggiunge la ricorrente che esigenze di semplificazione
potrebbero certo derivare dalla normativa comunitaria, vincolante per la
Regione, ed in particolare dalla direttiva n. 2006/123/CE del 12
dicembre 2006 (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa
ai servizi nel mercato interno), la quale tuttavia fa salva la
peculiarità dei singoli settori, ammettendo ad esempio che, in taluni
casi, la autorizzazione allo svolgimento di certe attività sia
subordinata ad un «adeguato esame» sulla presenza delle «condizioni
stabilite» per ottenerla (ad es. art. 10, par. 5); e inoltre fa salvo il
riparto delle competenze tra Stato, Regioni e minori enti locali (ad
es., art. 10, par. 7). Del resto, il decreto legislativo del 26 marzo
2010, n. 59 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi
nel mercato interno), di attuazione della citata direttiva (non abrogato
dal d.l. n. 78) dispone che «relativamente alle materie oggetto di
competenza concorrente, le Regioni e le Province autonome di Trento e di
Bolzano esercitano la potestà normativa nel rispetto dei principi
fondamentali contenuti nelle norme del presente decreto» (art. 1, comma
4). Lo stesso decreto, poi, all’art. 84, e in dichiarata attuazione
dell’art. 117, quinto comma, Cost., aggiunge che «nella misura in cui
incidono su materie di competenza esclusiva regionale e su materie di
competenza concorrente, le disposizioni del presente decreto si
applicano fino alla data di entrata in vigore della normativa di
attuazione della direttiva 2006/123/CE, adottata da ciascuna regione e
provincia autonoma nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento
comunitario e dei principi fondamentali desumibili dal presente
decreto».
16.— Il comma 4-ter dichiara come proprio fondamento
costituzionale anche la «tutela della concorrenza», oltre ai livelli
essenziali delle prestazioni. Ma esso, in realtà, non potrebbe essere
ricondotto nemmeno alla lettera e) dell’art. 117 Cost., nelle parti in
cui non riguarda attività imprenditoriali e professionali, e nelle parti
in cui concerne (limitandoli) i poteri di controllo e repressivi delle
amministrazioni preposte alla tutela dei molteplici interessi pubblici e
privati, che sono stati presi in considerazione dalle singole leggi di
settore quando hanno previsto le autorizzazioni, licenze, pareri, nulla
osta e simili. Con riferimento a queste ultime norme limitatrici, anzi,
la disposizione potrebbe avere l’effetto di far rimanere «sul mercato»
imprese o professionisti con requisiti (in senso lato) non del tutto
conformi agli schemi legali, con conseguente alterazione della
concorrenza «leale» tra i diversi operatori.
Ma, anche con riferimento alle attività imprenditoriali e
professionali, il comma 4-ter non sarebbe espressione della «tutela
della concorrenza» nel senso della Costituzione, come interpretata dalla
giurisprudenza della Corte. Esso non riguarderebbe i requisiti per
l’accesso al mercato, o le condizioni di offerta dei beni e dei servizi,
o la parità di trattamento tra gli operatori, o misure di
liberalizzazione dei mercati, ma inciderebbe direttamente e
principalmente sullo svolgimento dell’attività amministrativa e sui
relativi procedimenti. Se lo svolgimento di una determinata attività,
per la quale si siano ridotti i tempi di avvio (ma non i costi,
considerandosi la necessità di «attestazioni e asseverazioni di tecnici
abilitati») dipende (anche) dall’insieme della normativa (statale,
regionale, europea, internazionale) che la riguarda, l’effetto che la
semplificazione della disciplina ha sulla concorrenza sarebbe solo
accessorio ed indiretto; e nei casi di interferenza, ai fini della
riconduzione di una legge all’una o all’altra materia, occorrerebbe
operare un giudizio di prevalenza.
17.— Costituendosi in giudizio, il Presidente del
Consiglio dei ministri adduce l’infondatezza del ricorso, svolgendo
considerazioni analoghe a quelle esposte nei giudizi precedenti.
18.— Con ricorso notificato al Presidente del Consiglio
dei ministri il 28 settembre 2010, depositato presso la cancelleria
della Corte costituzionale il 6 ottobre 2010 (r.r. n. 106 del 2010), la
Regione Emilia-Romagna ha impugnato, tra l’altro, l’art. 49, commi 4-bis
e 4-ter, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla
legge n. 122 del 2010, per violazione degli artt. 97, 114, secondo
comma, 117, commi terzo e quarto, e 118, Cost. Il ricorso svolge
argomentazioni analoghe, nella parte concernente l’impugnazione
dell’art. 49, commi 4-bis e 4-ter, a quelle di cui al ricorso n. 102 del
2010, proposto dalla Regione Liguria.
19.— Anche le difese del Presidente del Consiglio dei
ministri, che si è costituito nel giudizio costituzionale proposto dalla
Regione Emilia-Romagna, assumendone l’infondatezza, sono analoghe a
quelle svolte nei confronti del ricorso n. 102 del 2010, proposto dalla
Regione Liguria.
20.— Con ricorso notificato al Presidente del Consiglio
dei ministri il 28 settembre 2010, depositato presso la Cancelleria
della Corte costituzionale il 7 ottobre 2010 (r.r. n. 107 del 2010), la
Regione Puglia ha impugnato, tra l’altro, l’art. 49, commi 4-bis e
4-ter, del d.l. n.. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla
legge n. 122 del 2010, che, nell’individuare nella legge statale l’unica
fonte competente a regolamentare la materia della SCIA, inciderebbero
sull’autonomia legislativa e regolamentare della Regione, con violazione
dell’art. 117, secondo comma, lettere e) ed m), terzo e quarto comma,
Cost.
21.— La Regione ricorrente premette che l’art. 49, comma
4-bis, ha riformulato l’art. 19 della legge n. 241 del 1990,
introducendo, al posto della Denuncia Inizio Attività (DIA), la
Segnalazione Certificata di Inizio attività (SCIA), in virtù della quale
sono ridotti gli oneri amministrativi per il privato, consentendogli di
intraprendere un’attività economica immediatamente, fin dalla data di
presentazione di una semplice segnalazione all’amministrazione pubblica
competente. Il comma 4-ter del medesimo art. 49 prevede l’applicazione
del comma 4-bis anche ai procedimenti amministrativi ricadenti nelle
materie di competenza legislativa regionale.
Dopo aver trascritto il dettato delle due disposizioni,
la ricorrente afferma che tale normativa contrasterebbe, anzitutto, con
l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
Nonostante l’autoqualificazione contenuta nel comma
4-ter, secondo cui la disciplina del comma 4-bis sarebbe attinente alla
tutela della concorrenza ai sensi del citato art. 117, secondo comma,
lettera e), e costituirebbe livello essenziale delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali ai sensi della lettera m) del
medesimo comma, sostituendosi, dalla data di entrata in vigore della
legge di conversione del decreto, a quella della dichiarazione di inizio
attività recata da ogni normativa statale e regionale, non sarebbe
possibile ritenere, secondo la ricorrente, che la norma sia
riconducibile alla materia della «tutela della concorrenza».
Invero, il nuovo istituto della SCIA sarebbe di
generalizzata applicazione, sia alle attività che hanno un rilievo
economico-imprenditoriale sia a quelle che non lo hanno. Risulterebbe
evidente che, in relazione a questa seconda categoria, non si porrebbe
un problema di «concorrenza», e lo Stato non sarebbe legittimato in
alcun modo ad adottare la normativa impugnata. Ne conseguirebbe
l’illegittimità costituzionale della normativa contenuta nell’art. 49,
commi 4-bis e 4-ter, del d.l. n. 78 del 2010, nella parte in cui include
nel suo ambito di applicazione anche quei procedimenti inerenti ad
attività non aventi rilievo economico-imprenditoriale.
Sotto un secondo profilo, la normativa in questione non
potrebbe comunque ricondursi alla materia della «tutela della
concorrenza», poiché «disciplina le relazioni tra gli operatori
economici e la pubblica amministrazione, senza che ciò possa in alcun
modo incidere sulle relazioni tra gli operatori economici». La normativa
impugnata si limiterebbe a regolare le modalità tramite le quali devono
essere esplicate alcune funzioni amministrative. Anche ammettendo che
norme destinate a regolare relazioni tra operatori e pubblici poteri
possano essere ricomprese nell’ambito dell’art. 117, secondo comma,
lettera e), Cost., ciò accadrebbe in quanto tali previsioni siano
dirette ad incrementare la concorrenza esistente. Ciò non si
verificherebbe nel caso in questione, in quanto la norma avrebbe
unicamente una funzione di semplificazione amministrativa.
Da ultimo, la ricorrente fa notare l’impossibilità di
riferire l’art. 49, comma 4-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010,
contemporaneamente, sia alla materia «tutela della concorrenza» che a
quella della «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni».
22.— La normativa censurata violerebbe anche l’art. 117, comma secondo, lettera m), Cost.
Infatti, non sarebbe possibile ritenere che le norme di
cui all’art. 49, commi 4-bis e 4-ter, nonostante l’autoqualificazione
ivi disposta, siano riconducibili alla materia della «determinazione dei
livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e
sociali», in primo luogo perché non sarebbe pensabile che la
disposizione costituzionale possa essere intesa nel senso di qualificare
«prestazione» qualunque attività amministrativa con la quale entri in
contatto il cittadino, poiché altrimenti si giungerebbe a configurare un
generalissimo titolo di intervento della legislazione statale su tutta
l’attività amministrativa regionale e locale. L’attività amministrativa
potrebbe assurgere alla qualifica di «prestazione», della quale lo
Stato è competente a fissare un «livello essenziale», solo a fronte di
uno specifico «diritto» di individui, imprese, operatori economici e, in
generale, soggetti privati. Ciò sarebbe stato riconoscibile ove lo
Stato avesse attribuito ai soggetti che entrano in contatto con una
pubblica amministrazione, nell’ambito dei procedimenti individuati dalle
norme in esame, il diritto ad ottenere una risposta certa entro un
termine prefissato, con eventuale utilizzo di poteri sostitutivi
straordinari per far fronte all’inadempimento di quei livelli di governo
non assicuranti il livello essenziale delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali, stabilito dallo Stato nell’esercizio della
propria competenza esclusiva.
Pur se la DIA – sostituita in parte dalla SCIA con le
disposizioni in esame – è stata qualificata «livello essenziale di
prestazione» dalla lettera b) del comma 1 dell’art. 10 della legge 18
giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la
semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile),
che ha aggiunto il comma 2-ter all’art. 29 della legge n. 241 del 1990,
è noto che la qualificazione che il legislatore fornisca delle norme
che esso stesso introduce non ha rilievo ai fini della loro
qualificazione di diritto costituzionale, né è possibile ritenere che la
mancata impugnazione della disposizione richiamata possa valere in
alcun modo quale acquiescenza prestata dalla Regione ricorrente. Le
norme concernenti la DIA, come quelle inerenti la SCIA, non potrebbero
essere considerate «livelli essenziali delle prestazioni». Ove ne
sussistano i presupposti, potrebbero, al più, essere qualificate
«principi fondamentali» in relazione a singole materie di potestà
legislativa concorrente tra Stato e Regioni, come il «governo del
territorio».
I commi 4-bis e 4-ter dell’art. 49 sono impugnati anche in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost.
A differenza della disciplina della DIA, che nel settore
edilizio è stata ascritta ai «principi fondamentali» della materia
«governo del territorio», la disciplina della SCIA avrebbe un ambito di
applicazione generalizzato. Non individuando alcuna materia al fine di
limitare il proprio ambito di applicazione, non potrebbe certo
costituire «principio fondamentale della materia»: il legislatore
statale, infatti, avrebbe dovuto individuare i procedimenti - almeno per
classi omogenee - ricadenti nelle materie di competenza concorrente, ai
quali intendeva applicare la disciplina in esame.
Ma anche qualora, per assurdo, nonostante il suo ambito
generalizzato di applicazione, si volesse ritenere la disposizione
statale in questione legittimata dall’art. 117, terzo comma, Cost., essa
sarebbe comunque costituzionalmente illegittima, poiché non lascerebbe
alcun margine al legislatore regionale, il quale non potrebbe che
limitarsi a prendere atto del diverso assetto conferito dal nuovo
istituto della SCIA al rapporto tra cittadini ed amministrazione, senza
poter in alcun modo modulare, anche in minima parte, tale assetto in
modo da renderlo maggiormente adeguato alla realtà regionale, e senza
avere la possibilità di ampliarne o ridurne l’ambito applicativo.
La giurisprudenza costituzionale avrebbe ritenuto
«principio fondamentale» della materia «governo del territorio» la
«necessaria compresenza nella legislazione di titoli abilitativi
preventivi ed espressi (la concessione o l’autorizzazione, ed oggi, nel
nuovo d.P.R. n. 380 del 2001, il permesso di costruire) e taciti, quale
sarebbe la DIA, considerata procedura di semplificazione che non può
mancare, libero il legislatore regionale di ampliarne o ridurne l’ambito
applicativo» (sentenza n. 303 del 2003, punto 11.2. del Considerato in
diritto). Sarebbe evidente che tale «libertà» del legislatore regionale
non sussiste nel caso in questione.
La normativa censurata, infine, violerebbe l’art. 117,
quarto comma, Cost., nella parte in cui si applica a procedimenti
amministrativi ricadenti nell’ambito delle materie di competenza
residuale regionale.
Se anche l’art. 49, commi 4-bis e 4-ter, del d.l. n. 78
del 2010 fosse da considerare legittimamente posto dallo Stato
nell’ambito della propria competenza a dettare i principi fondamentali
delle materie oggetto di potestà legislativa concorrente tra Stato e
Regioni, esso dovrebbe comunque ritenersi costituzionalmente
illegittimo, in quanto volto a disciplinare anche i procedimenti
ricadenti nell’ambito della competenza residuale delle Regioni. Lo
Stato, infatti, non avrebbe alcun titolo per imporre la sua applicazione
anche ai procedimenti amministrativi che devono essere esplicati in
tali materie, in cui la competenza regionale non sarebbe vincolata da
questo tipo di norme statali.
23.— Nel giudizio si è costituito il Presidente del
Consiglio dei ministri, assumendo l’infondatezza del ricorso e svolgendo
argomenti analoghi a quelli esposti nei giudizi sopra richiamati.
24.— Con ricorso notificato al Presidente del Consiglio
dei ministri il 9 settembre 2011, depositato presso la cancelleria della
Corte costituzionale il 15 settembre 2011 (r.r. n.91 del 2011), la
Regione Emilia-Romagna ha promosso questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 5, comma 1, lettera b), e del medesimo art. 5,
comma 2, lettere b) e c), del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70
(Semestre Europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia),
convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 12
luglio 2011, n. 106, «nella parte in cui tale articolo conferma o
dispone l’applicabilità della SCIA alla materia edilizia e nella parte
in cui – attraverso il nuovo comma 6-bis dell’art. 19 della legge n. 241
del 1990 – introduce un termine breve di trenta giorni per l’adozione
dei provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di
rimozione degli effetti della SCIA in materia edilizia, per violazione
degli artt. 3, 9, 97, 114, 117 e 118 della Costituzione, nei modi e per i
profili di seguito illustrati».
La ricorrente deduce di avere già proposto ricorso (r.r.
n. 106 del 2010) in merito al d.l. n. 78 del 2010, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, che aveva sostituito la
disciplina della denuncia di inizio attività (DIA), di cui all’art. 19
della legge n. 241 del 1990, con quella della segnalazione certificata
di inizio attività (SCIA), rivendicando alla competenza esclusiva
statale tale istituto, ed ha manifestato la volontà di censurare anche
il successivo intervento sulla materia, che ha sancito l’applicabilità
della SCIA all’edilizia ed è intervenuto sulla sua concreta disciplina,
in riferimento alla definizione del termine per l’esercizio del potere
inibitorio da parte della pubblica amministrazione. Infatti, tali
disposizioni cristallizzerebbero l’interpretazione delle normative
menzionate in senso lesivo dell’autonomia regionale, costituzionalmente
garantita.
25.— In particolare, la Regione Emilia-Romagna lamenta
l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, lettera b), e comma
2, lettere b) e c), del d.l. n. 70 del 2011, nella parte in cui
confermano o dispongono l’applicabilità della SCIA alla materia edilizia
disciplinata dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001,
n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia edilizia – Testo A), seppure «con esclusione dei casi in cui le
denunce stesse, in base alla normativa statale o regionale, siano
alternative o sostitutive del permesso di costruire».
Tale interpretazione autentica si collegherebbe,
inoltre, all’obiettivo enunciato al comma 1, lettera b), del medesimo
art. 5, consistente nella «estensione della segnalazione certificata di
inizio attività (SCIA) agli interventi edilizi precedentemente compiuti
con denuncia di inizio attività (DIA)», con l’esclusione dei casi di
cosiddetta super-DIA.
Nel sollevare la questione di legittimità costituzionale
in riferimento alla violazione del parametro di cui all’art. 117, terzo
comma, Cost., la Regione avanza le medesime ragioni a sostegno già
espresse con il precedente ricorso in relazione alla (allora solo)
presunta applicabilità della SCIA in materia edilizia: in particolare,
la possibilità di avvio immediato dell’attività dopo la segnalazione,
disposizione che rappresenterebbe una regola di dettaglio, in quanto
tale preclusa allo Stato in una materia, quella del governo del
territorio, demandata alla potestà legislativa concorrente, per cui la
potestà statale resta limitata alla sola fissazione dei principi.
Se è pur vero che, nella sentenza della Corte
costituzionale n. 303 del 2003, è stato affermato che rappresenta
principio necessario la «compresenza nella legislazione di titoli
abilitativi preventivi ed espressi [permesso di costruire] e taciti,
quale è la Dia», nel caso qui censurato lo Stato avrebbe preteso di
disciplinare nei minimi dettagli gli aspetti procedimentali di tali
titoli, stabilendo che con la presentazione della segnalazione è
possibile iniziare l’attività, privando le Regioni della possibilità
persino di adattare la norme alle esigenze della specifica situazione e
delle concrete possibilità delle amministrazioni.
Lo Stato avrebbe – ad avviso della Regione
Emilia-Romagna – superato i limiti della propria potestà legislativa di
principio nella materia concorrente di governo del territorio, violando
l’art. 117, terzo comma, Cost., nell’imporre non soltanto la DIA – ora
SCIA – in luogo del permesso edilizio, ma nel disciplinare le modalità
stesse di funzionamento della SCIA, nell’individuare il momento nel
quale il «segnalante» può realizzare il progetto, nel disciplinare i
tempi ed i limiti del potere o dovere di controllo dell’amministrazione.
Nella recente sentenza della Corte costituzionale n. 278 del 2010
sarebbe stato, infatti, stabilito che spetta alle Regioni, e non allo
Stato, disciplinare i casi nei quali strutture residenziali mobili nei
campeggi possono essere realizzate senza alcun adempimento; ragione per
la quale, dunque, spetta alle Regioni dire in quali casi al segnalante
sia consentito di realizzare subito il progetto ed in quali sia invece
preferibile che l’amministrazione effettui prima il controllo.
La ricorrente ha posto in evidenza anche la criticità di
tale scelta, nel caso in cui un soggetto inizi l’attività pur in
assenza dei presupposti di legge, sulla base di una SCIA che contiene
false dichiarazioni o che comunque è altrimenti errata.
Infatti, mentre nel settore commerciale, la cui
regolamentazione spetta per competenza residuale alla Regione,
l’immediato inizio di attività in assenza dei presupposti richiesti non
sarebbe particolarmente grave, in quanto l’attivazione del potere
inibitorio e di rimozione degli eventuali effetti dannosi medio tempore
cagionati potrebbe essere idoneo a tutelare gli interessi protetti dalle
normative, l’attività edilizia determina immediatamente una materiale
alterazione del territorio, anche se gli interventi potrebbero essere
poi rimossi. Tuttavia, il ripristino della situazione pregressa non
sempre sarebbe possibile, sia sotto il profilo materiale (come
ricavabile dall’art. 33, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, che si
occupa dei profili sanzionatori di opere abusive in relazione alle quali
non sia possibile il ripristino dello stato dei luoghi), sia per gli
eccessivi costi che, pur se ricadenti sui privati trasgressori,
risulterebbero nel concreto spesso non sostenibili dal privato che
avrebbe l’obbligo di rimuovere gli effetti dannosi. Anche il meccanismo
dell’esecuzione in danno rappresenterebbe una soluzione di disagevole
attuazione pratica, come dimostra l’esperienza comune delle difficoltà
che le amministrazioni incontrano nell’ottenere la demolizione degli
interventi abusivi.
Secondo la Regione, sarebbe irrilevante la circostanza
che gli interventi abusivamente eseguiti in assenza o in difformità
dalla DIA siano sottoposti – in linea generale (e salvo eccezioni) –
alla sola sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 37 del d.P.R. n. 380
del 2001. L’uso preventivo del potere inibitorio da parte delle
amministrazioni comunali era infatti in grado di prevenire sia la
commissione dell’abuso (cosa naturalmente preferibile, rispetto alla
misura sanzionatoria successiva), con riferimento a tipologie di
interventi che – per quanto non consentite nel caso concreto – fossero
comunque astrattamente riconducibili all’ambito di applicabilità della
DIA, sia il verificarsi dell’eventualità – ben più grave – in cui il
privato presentasse una DIA per realizzare interventi che avrebbero
invece richiesto il rilascio del permesso di costruire, attraverso il
blocco dell’esecuzione dei lavori prima che questi avessero inizio.
La totale eliminazione della possibilità delle
amministrazioni di operare un rapido esame preventivo dei progetti,
allo scopo di impedire in radice la realizzazione degli abusi, sarebbe
non solo una violazione della competenza regionale, ma anche una
violazione del principio di ragionevolezza e di buon andamento
dell’amministrazione di cui all’art. 97, primo comma, Cost., violazione
che la Regione sarebbe legittimata ad impugnare in quanto si tradurrebbe
in una limitazione della potestà legislativa regionale.
La Regione censura le disposizioni anche sotto il
profilo della violazione dell’art. 9, secondo comma, Cost., in
riferimento alla tutela del paesaggio, sia nei casi in cui la sanzione
prevista sia solo economica, sia nei casi in cui si possa in astratto
procedere all’intervento demolitorio, con la concreta possibilità che
comunque il territorio risulti permanentemente danneggiato.
Infatti, solo una verifica preventiva sarebbe in grado
di prevenire le violazioni e di corrispondere al precetto
costituzionale, in quanto, anche per effetto degli accordi
internazionali ai quali l’Italia ha aderito (quale la Convenzione
europea del paesaggio), la tutela di esso è ormai strutturalmente
connessa alla tutela del territorio.
D’altronde, il legislatore del 2005, che aveva
sostituito alla «denuncia» la «dichiarazione di inizio attività» con la
previsione di diverse regole di carattere generale, ritenute applicabili
anche alla DIA edilizia (si pensi, ad esempio, alla previsione del
potere di autotutela), avrebbe opportunamente mantenuto alcune
peculiarità di quest’ultima, prevedendo la clausola di salvezza di cui
alla vecchia formulazione dell’art. 19, comma 4 («restano ferme le
disposizioni di legge vigenti che prevedono termini diversi da quelli di
cui ai commi 2 e 3 per l’inizio dell’attività e per l’adozione da parte
dell’amministrazione competente di provvedimenti di divieto di
prosecuzione dell’attività e di rimozione dei suoi effetti»).
L’eliminazione di tale clausola dalla disposizione
censurata determinerebbe un inammissibile sbilanciamento a favore
dell’immediata definizione delle procedure abilitative edilizie, con un
sacrificio irragionevole ed ingiustificato delle esigenze di tutela del
territorio e di quelle organizzative delle stesse amministrazioni
comunali, cui è affidato il potere di verifica. Le amministrazioni,
attese le crescenti difficoltà di bilancio per i tagli alle risorse, si
vedrebbero costrette ad «inseguire i cantieri», che potrebbero spuntare
da un giorno all’altro sull’intero territorio comunale. A ciò andrebbe
aggiunto il pregiudizio ulteriore alle posizioni dei terzi, che si
vedano lesi dall’attività costruttiva. Peraltro, non sarebbe certo che
l’automatica estensione delle regole generali della SCIA anche alla
materia edilizia tuteli l’effettivo interesse del costruttore, che ha
interesse a conoscere in tempi rapidi e definiti se può dare corso
all’intervento, ma ha anche interesse ad operare in un quadro di regole
sicure, conoscendo in anticipo se quanto sta realizzando è conforme a
diritto. Di contro, l’immediato inizio dei lavori accentuerebbe il
rischio che quanto è in corso di realizzazione venga in seguito ad
incorrere nell’esercizio del potere inibitorio, con possibilità di
danneggiare sia l’amministrazione sia il terzo.
In definitiva, la SCIA amplierebbe le criticità già
presenti nel previgente sistema della DIA edilizia, la quale avrebbe già
dato cattiva prova di sé (si veda Tar Lombardia, 7 luglio 2004, n.
3086).
Pertanto, ad avviso della Regione, l’applicazione della
disposizione di cui all’art. 19 della legge n. 241 del 1990 (come
modificato dall’art. 49, comma 4-bis, della 1egge n. 122 del 2010) alle
ipotesi di DIA edilizia sarebbe costituzionalmente illegittima nella
parte in cui consente di iniziare l’attività costruttiva alla data della
presentazione della segnalazione (senza prevedere una clausola di
salvezza per le diverse disposizioni previste per la DIA edilizia), per
contrasto con l’art. 3 Cost., per violazione dei principi di
ragionevolezza e proporzionalità, e con l’art. 97 Cost., per violazione
del principio buon andamento dell’attività amministrativa.
Tale disposizione sarebbe anche illegittima per
violazione degli artt. 114 e 118 Cost., nella misura in cui interferisce
con i poteri di controllo di Comuni e Regioni sull’attività edilizia.
Inoltre, la Regione Emilia-Romagna ricorda che la
riconduzione di tale disciplina alle materie della tutela della
concorrenza e dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettere
e) ed m), Cost. (quale prevista dal citato art. 49, comma 4-ter, del
d.l. n. 78 del 2010), è già stata censurata dalla stessa Regione
ricorrente nel ricorso proposto avanti alla Corte costituzionale n. 106
del 2010.
26.— Per quanto attiene alla illegittimità
costituzionale dell’art. 5, comma 2, lettera b), nella parte in cui –
attraverso il nuovo comma 6-bis dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990
– introduce un termine breve di trenta giorni per la SCIA in materia
edilizia, con riduzione del termine di verifica generale di sessanta
giorni, la Regione Emilia-Romagna censura il fatto che il legislatore
statale sarebbe intervenuto definendo aspetti di dettaglio della materia
edilizia, con precetti destinati a trovare immediata applicazione, in
deroga alle diverse previsioni normative regionali, in quanto l’art. 49,
comma 4-ter, della legge n. 122 del 2010 stabilisce che la nuova
disciplina della SCIA «sostituisce direttamente, dalla data di entrata
in vigore della legge di conversione del presente decreto, quella della
dichiarazione di inizio attività recata da ogni normativa statale e
regionale», con ciò violando le regole che limitano la potestà statale,
concorrente con quella regionale, demandando alla prima la fissazione
dei soli principi, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost.
A tal proposito, la Regione Emilia-Romagna aveva già
disciplinato la materia autonomamente, prevedendo un sistema articolato
di controlli nel quale, oltre al termine di trenta giorni entro cui si
provvede esclusivamente: a) a verificare la completezza della
documentazione; b) ad accertare che la tipologia dell’intervento
descritto e asseverato rientri nei casi previsti; c) a verificare la
correttezza del calcolo del contributo di costruzione ed il relativo
versamento, sono previsti termini più ampi (fino a dodici mesi dalla
fine lavori) per il «controllo di merito dei contenuti
dell’asseverazione allegata alla denuncia di inizio attività» (art. 11,
commi 1 e 3, della 1egge della Regione Emilia-Romagna 25 novembre 2002,
n. 31, recante «Disciplina generale dell’edilizia»). Quindi, la
determinazione da parte della legge statale di un termine rigido entro
il quale ogni controllo debba essere svolto impedirebbe alla Regione
l’attività di adattamento delle norme alla concreta situazione locale,
che costituisce una delle ragioni della potestà legislativa regionale.
27.— Sotto diverso profilo, la previsione del termine di
trenta giorni risulterebbe anche irragionevole e contraria al principio
di buon andamento dell’attività amministrativa.
Infatti, anche se il termine di verifica di trenta
giorni era previsto in materia edilizia dall’art. 23 del d.P.R n. 380
del 2001, la disposizione aveva valenza regolamentare e, dopo la riforma
del Titolo V, parte seconda, della Costituzione, i termini erano poi
stati diversamente disciplinati dalla normativa regionale. Come già
fatto cenno, la Regione Emilia-Romagna ha distinto i diversi tipi di
controllo, con un termine più lungo per quelli comportanti accertamenti
specifici e complessi. Quindi, l’imposizione di un termine unico di
trenta giorni – oltretutto in una situazione in cui alle amministrazioni
locali è precluso per limiti sia economici che giuridici di espandere
il proprio organico – comprometterebbe in pratica l’effettiva
possibilità di vigilare sull’attività edilizia, in violazione anche
degli artt. 114 e 118 Cost.
La nuova regola sarebbe ulteriormente irragionevole e
sproporzionata se si considera che l’art. 19 della legge n. 241 del 1990
prevede un termine di verifica più lungo per attività economiche di
minor impatto, mentre per l’attività edilizia, il cui svolgimento è più
delicato e potenzialmente foriero di danni irreversibili al territorio,
si prevede un termine di verifica inferiore. Ne deriva, ad avviso della
ricorrente Regione, l’ulteriore incostituzionalità della disciplina
contestata per violazione degli artt. 3 e 97 Cost.
La norma apparirebbe illegittima e irrazionale anche
sotto un ulteriore profilo, qualora dovesse risultare legittima per la
SCIA edilizia la regola che consente l’immediato avvio dell’attività,
prima di qualunque controllo. Infatti, la determinazione di un termine
breve – comunque contestabile in quanto non permette una flessibile
applicazione regionale – avrebbe potuto avere una sua logica quando esso
aveva al contempo carattere dilatorio rispetto all’attività
costruttiva, cioè quando soltanto allo scadere di tale termine il
privato poteva concretamente dare avvio alle opere. Ma se si ammette che
anche in materia edilizia è possibile dare sempre e comunque immediato
avvio all’attività, contestualmente alla presentazione della
segnalazione, allora la riduzione del termine da sessanta a trenta
giorni non avrebbe più alcuna reale utilità per il privato, in quanto
non servirebbe a ridurre alcun termine dilatorio; di contro, tale
riduzione avrebbe solo l’effetto di limitare ingiustificatamente i
poteri di verifica della pubblica amministrazione nel controllo del
territorio.
In sintesi, ad avviso della Regione Emilia-Romagna,
sarebbero illegittime, per violazione del riparto costituzionale delle
competenze legislative nella materia e per irragionevolezza, che porta
alla compromissione di valori fondamentali, sia la regola che consente
l’immediato avvio dell’attività edilizia, sia la regola che costringe i
controlli nel termine irrazionalmente breve di trenta giorni: ma la
seconda risulterebbe ancor più irrazionale, qualora si consideri la
vigenza della prima.
28.— Si è costituito nel giudizio il Presidente del
Consiglio dei ministri, tramite l’Avvocatura generale dello Stato,
chiedendo il rigetto del ricorso, in quanto la introdotta normativa si
sottrarrebbe alle proposte censure di legittimità costituzionale.
Contrariamente a quanto affermato dalla Regione Emilia-Romagna,
l’intervento normativo sarebbe attinente alla materia dei livelli
essenziali delle prestazioni e pertanto rientrerebbe nella competenza
esclusiva dello Stato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera
m), Cost., anche alla luce del dettato dell’art. 29 della legge n. 241
del 1990, il cui richiamo alla DIA deve intendersi effettuato, per
effetto del comma 4-ter dell’art. 49 del d.l. n. 78 del 2010, alla
“segnalazione certificata di inizio attività”. D’altra parte, la
disciplina della SCIA risponderebbe all’esigenza di dettare un
procedimento uniforme su tutto il territorio nazionale per regolare lo
svolgimento delle attività economiche ed è tutt’altro che disciplina di
dettaglio.
Inoltre, anche qualora si volesse ritenere che la norma
afferisca al settore dell’edilizia, come tale rientrante nella materia
“governo del territorio”, la questione di legittimità sarebbe ugualmente
infondata. Infatti, in tale ambito le Regioni esercitano la propria
potestà legislativa nel rispetto dei principi fondamentali della
legislazione statale e senza dubbio la definizione dei titoli
abilitativi e del regime autorizzatorio delle attività edilizie
rappresenterebbe una disciplina di principio, che dovrebbe valere in
maniera uniforme su tutto il territorio nazionale. Ciò, in particolare,
con riferimento alle norme che disciplinano modalità e tempi del
procedimento di verifica della conformità alla normativa urbanistica ed
edilizia, al fine di assicurare l’efficienza dell’istituto.
Pertanto, a parere della difesa dello Stato, sarebbero
non fondate anche le lamentate violazioni degli artt. 9 e 97 Cost. Le
disposizioni censurate avrebbero per obiettivo la liberalizzazione
dell’attività di impresa e sarebbero dirette a salvaguardare valori
costituzionali di primaria importanza, quali la libertà di impresa, la
tutela della concorrenza e l’imparzialità ed il buon andamento della
pubblica amministrazione: la semplificazione procedimentale sarebbe
finalizzata a favorire la ripresa e lo sviluppo del sistema produttivo
nazionale nella competitività delle imprese, ed in vista di tale
superiore interesse nazionale sarebbe necessaria la subordinazione delle
potestà legislative degli enti territoriali. In tale ottica si
collocherebbe la norma di interpretazione contenuta nell’art. 5, comma
1, lettera b), del decreto-legge impugnato.
La SCIA realizzerebbe il passaggio dal principio
autoritativo a quello dell’auto-responsabilizzazione del privato e le
criticità evidenziate dalla Regione ricorrente, in merito al possibile
inizio dell’attività nella carenza dei presupposti di legge in presenza
di una SCIA contenente erronee o false dichiarazioni, sarebbero
attinenti a valutazioni di merito rimesse alla discrezionalità del
legislatore, il quale avrebbe operato un bilanciamento tra una pluralità
di interessi contrapposti.
Anche la riduzione dei termini entro i quali
l’amministrazione dovrà effettuare i controlli sarebbe ragionevole e
conforme ai principi costituzionali: la modifica normativa non
sacrificherebbe le esigenze di controllo, ma mirerebbe ad assicurare un
intervento più tempestivo ed efficace della pubblica amministrazione a
salvaguardia sia degli interessi produttivi (che potrebbero essere
pregiudicati dai tempi lunghi del procedimento), sia del buon governo
del territorio (che, anch’esso, riceverebbe pregiudizio da controlli
tardivi rispetto ai tempi di svolgimento dell’attività).
29.— Le parti ricorrenti e la difesa dello Stato hanno
depositato memorie, finalizzate ad illustrare e a ribadire gli argomenti
esposti nei ricorsi e negli atti di costituzione.
Considerato in diritto
1.— La Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, la
Regione Toscana, la Regione Liguria, la Regione Emilia Romagna e la
Regione Puglia, con i distinti ricorsi indicati in epigrafe e richiamati
in narrativa, hanno sollevato, tra le altre, questioni di legittimità
costituzionale dell’articolo 49, commi 4-bis e 4-ter, del decreto-legge
31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione
finanziaria e di competitività economica), nel testo risultante dalle
modifiche introdotte dalla legge di conversione 30 luglio 2010, n. 122.
La Regione Emilia-Romagna, poi, con un secondo ricorso,
ha chiesto che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale
dell’articolo 5, comma 1, lettera b), e del medesimo articolo 5, comma
2, lettere b) e c), del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre
Europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia), convertito, con
modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, «nella parte in cui
tale articolo conferma o dispone l’applicabilità della SCIA alla materia
edilizia e nella parte in cui – attraverso il nuovo comma 6-bis
dell’art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia
di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti
amministrativi) – introduce un termine breve di trenta giorni per
l’adozione dei provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e
di rimozione degli effetti della SCIA in materia edilizia», per
violazione degli articoli 3, 9, 97, 114, 117 e 118 della Costituzione.
Riservata a separate pronunce la decisione sulle
impugnazioni delle altre norme contenute nel suddetto d.l. n. 78 del
2010, proposte dalle ricorrenti, vengono qui in esame le questioni di
legittimità costituzionale relative al citato art. 49, commi 4-bis e
4-ter, nonché le questioni concernenti l’art. 5, comma 1, lettera b), e
comma 2, lettere b) e c), del d.l. n. 70 del 2011, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 106 del 2011, nei termini dianzi indicati.
2.— I ricorsi di cui sopra censurano, con argomentazioni
in parte nella sostanza coincidenti e in parte connesse, le stesse
norme. I relativi giudizi, dunque, devono essere riuniti per essere
definiti con unica sentenza.
3.— La Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, in
particolare, censura, tra gli altri, l’art. 49, comma 4-ter, del d. l.
n. 78 del 2010, poi convertito, nella parte in cui, qualificando la
disciplina della «Segnalazione certificata di inizio attività» (d’ora in
avanti, SCIA), contenuta nel comma 4-bis, che modifica l’art. 19 della
legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento
amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi),
come attinente alla tutela della concorrenza, ai sensi dell’art. 117,
secondo comma, lettera e), Cost., e costituente livello essenziale delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali ai sensi della
successiva lettera m), e prevedendo che «le espressioni “segnalazione
certificata di inizio attività” e “SCIA” sostituiscono, rispettivamente,
quelle di “dichiarazione di inizio attività” e “DIA”», stabilisce che
la nuova disciplina sulla SCIA si sostituisce a quella già esistente in
materia di DIA, modificando non soltanto la normativa statale previgente
ma anche quella regionale.
In tal guisa sarebbero violate: a) le competenze
regionali nelle materie dell’industria, del commercio e
dell’artigianato, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost., e dunque
anche la competenza legislativa della Regione autonoma Valle
d’Aosta/Vallée d’Aoste, in virtù della clausola di cui all’art. 10 della
legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della
parte seconda della Costituzione); b) le competenze regionali
statutarie nelle materie «artigianato» e «industria alberghiera, turismo
e tutela del paesaggio», e nell’emanazione di norme legislative di
integrazione e di attuazione delle leggi della Repubblica nella materia
«industria e commercio»», previste dagli artt. 2, primo comma, lettere
p) e q), e 3, primo comma, lettera a), della legge costituzionale 26
febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta); c) la
competenza regionale in materia «urbanistica, piani regolatori per zone
di particolare importanza turistica», prevista dall’art. 2, primo comma,
lettera g), dello statuto speciale, se la normativa censurata fosse
ritenuta applicabile ad aspetti riconducibili alla pianificazione
territoriale.
In subordine, resterebbe altresì violato il principio di leale collaborazione.
3.1.— La Regione Toscana impugna, tra gli altri, l’art.
49, commi 4-bis e 4-ter, del citato d.l. n. 78 del 2010, poi convertito
in legge, nella parte in cui, qualificando la disciplina della SCIA come
attinente alla tutela della concorrenza e costituente livello
essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, e
prevedendo che «le espressioni “segnalazione certificata di inizio
attività” e “SCIA” sostituiscono, rispettivamente, quelle di
“dichiarazione di inizio attività” e “DIA”», stabilisce che la nuova
disciplina sulla SCIA si sostituisce a quella esistente in tema di DIA,
modificando non solo la previgente normativa statale ma anche quella
regionale.
In particolare, tale disciplina consentirebbe al privato
di iniziare l’attività edilizia senza attendere alcun termine, restando
alla pubblica amministrazione solo il potere di intervenire
successivamente, quando i lavori sono già avviati (o anche finiti), con
un danno urbanistico ormai prodotto. Sarebbero così violate le
competenze regionali nella materia del «governo del territorio», ai
sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., introducendo una disciplina di
dettaglio sui tempi di svolgimento dell’attività edilizia, senza
permettere più un controllo preventivo della pubblica amministrazione.
Inoltre, sarebbe violato l’art. 121, secondo comma,
Cost., perché il legislatore statale non potrebbe intervenire
direttamente ad abrogare e sostituire norme approvate dal Consiglio
regionale, spettando a quest’ultimo adeguarsi ai nuovi principi posti
dal legislatore statale.
Le disposizioni impugnate, per giustificare l’intervento
legislativo dello Stato, richiamano la tutela della concorrenza e la
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali (art. 117, secondo comma, lettere e ed m).
Tuttavia, fermo il punto che – ai fini del giudizio di legittimità
costituzionale – la qualificazione legislativa non vale ad attribuire
alla norma una natura diversa da quella ad esse propria, quale risulta
dalla loro oggettiva sostanza, risulterebbe evidente che la SCIA
“edilizia” non è uno strumento per tutelare la concorrenza, mentre non
pertinente sarebbe il riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera
m), Cost., poiché la disciplina della SCIA “edilizia” non fisserebbe un
livello essenziale delle prestazioni da garantire su tutto il territorio
nazionale.
Infine, la normativa de qua violerebbe anche il principio di leale collaborazione.
3.2.— La Regione Liguria, a sua volta, impugna l’art. 49, commi 4-bis e 4-ter, del d.l. n.78 del 2010, poi convertito in legge.
Il comma 4-bis è censurato nella parte in cui, con
riferimento ad ambiti non edilizi, prevedendo dettagliatamente i moduli
procedimentali destinati a sostituire in modo automatico tutte le
discipline regionali in materia di DIA e le modalità d’intervento
attraverso l’esercizio del potere d’inibizione e di conformazione
dell’attività, violerebbe spazi di legislazione regionale residuale, ai
sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost., in particolare con riferimento
a commercio, artigianato, turismo e attività produttive in genere,
nonché i poteri di controllo delle amministrazioni locali rimessi
dall’art. 114, secondo comma, Cost., all’autonomia dei poteri degli enti
locali, e le funzioni amministrative dei Comuni disposte dall’art. 118,
primo comma, Cost. Inoltre, con riferimento all’ambito edilizio,
prevedendo la possibilità di iniziare l’attività costruttiva alla data
di presentazione della segnalazione, senza stabilire una clausola di
salvezza per le diverse disposizioni previste per la DIA edilizia, la
disposizione censurata violerebbe l’art. 3 Cost., con riguardo ai
principi di ragionevolezza e proporzionalità, nonché l’art. 97, primo
comma, Cost., con riguardo al principio di buon andamento dell’attività
amministrativa, per determinare un inammissibile sbilanciamento a favore
dell’interesse ad una rapida definizione delle procedure abilitative
edilizie, con sacrificio delle esigenze della tutela del territorio e
dell’organizzazione delle stesse amministrazioni cui è affidato il
potere di verifica.
Con riferimento al comma 4-ter, detta norma,
qualificando la disciplina della SCIA come attinente alla tutela della
concorrenza e costituente livello essenziale delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali, nonché stabilendo che la nuova
disciplina sulla SCIA si sostituisce a quella già esistente in tema di
DIA, con conseguente modifica non soltanto della previgente normativa
statale ma anche regionale, violerebbe le competenze regionali quali il
governo del territorio, la tutela della salute, l’ordinamento degli
uffici regionali, l’artigianato, il turismo, il commercio, in forza
dell’art. 117, commi terzo e quarto, Cost.
3.3.— La Regione Emilia-Romagna impugna l’art. 49, commi
4-bis e 4-ter, del menzionato decreto-legge, poi convertito, nella
parte in cui, con riferimento agli ambiti non edilizi, prevedendo
dettagliatamente i moduli procedimentali destinati a sostituire in modo
automatico tutte le discipline regionali in materia di DIA e le modalità
di intervento mediante esercizio del potere di inibizione e di
conformazione dell’attività, violerebbe sfere di legislazione residuale
regionale ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost., segnatamente con
riferimento a commercio, turismo e attività produttive in genere, nonché
i poteri di controllo delle amministrazioni locali rimessi dall’art.
114, secondo comma, Cost., all’autonomia degli enti locali, ed anche le
funzioni amministrative dei Comuni di cui all’art. 118, primo comma,
Cost.
Inoltre, con riferimento all’ambito edilizio, la
normativa censurata, prevedendo la possibilità d’iniziare l’attività
costruttiva alla data di presentazione della segnalazione (senza
introdurre una clausola di salvezza per le diverse disposizioni
stabilite per la DIA edilizia), violerebbe l’art. 3 Cost. con
riferimento ai principi di ragionevolezza e proporzionalità, nonché
l’art. 97, primo comma, Cost., con riguardo al principio di buon
andamento dell’attività amministrativa, determinando un inammissibile
sbilanciamento a favore dell’interesse ad una rapida definizione delle
procedure abitative edilizie, con sacrificio delle esigenze di tutela
del territorio e dell’organizzazione delle stesse amministrazioni, cui è
affidato il potere di verifica. Sarebbero poi violati gli artt. 114 e
118 Cost., nella misura in cui la normativa de qua interferisce con i
poteri di controllo di Comuni e Regioni sull’attività edilizia.
Quanto al citato art. 49, comma 4-ter, esso – nella
parte in cui, qualificando la disciplina della SCIA, contenuta nel comma
4-bis, come attinente alla tutela della concorrenza e costituente
livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e
sociali (art. 117, secondo comma, lettere e ed m, Cost.), stabilisce che
la nuova disciplina sulla SCIA si sostituisce a quella già esistente in
materia di DIA, modificando non soltanto la previgente normativa
statale, ma anche quella regionale – si porrebbe in violazione delle
competenze regionali, quali il governo del territorio, la tutela della
salute, l’ordinamento degli uffici regionali, l’artigianato, il turismo e
il commercio, ai sensi dell’art. 117, commi terzo e quarto, Cost.
3.4.— La Regione Puglia censura l’art. 49, commi 4-bis e
4-ter, sopra citati, perché, qualificando la disciplina della SCIA come
attinente alla tutela della concorrenza e costituente livello
essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali,
violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., riferendosi ad
attività non aventi rilievo economico-imprenditoriale, ma destinate a
regolare rapporti tra operatori economici e pubblica amministrazione a
fini di semplificazione, nonché l’art. 117, secondo comma, lettera m),
Cost., non trattandosi di specifici diritti dei soggetti a determinate
prestazioni. Inoltre, la menzionata normativa statale, nella parte in
cui prevede che la nuova disciplina sulla SCIA si sostituisca a quella
già esistente in tema di DIA, modificando non soltanto la previgente
disciplina statale, ma anche quella regionale, si porrebbe in violazione
dell’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto non si limiterebbe a porre
principi fondamentali nella materia «governo del territorio», ma
detterebbe una disciplina della quale il legislatore regionale potrebbe
soltanto prendere atto, senza margini di adeguamento alla realtà
regionale.
3.5.— Infine, la Regione Emilia-Romagna, con un secondo
ricorso, ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art.
5, comma 1, lettera b), e comma 2, lettere b) e c), del d.l. n. 70 del
2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 106 del 2011, «nella
parte in cui tale articolo conferma o dispone l’applicabilità della
SCIA alla materia edilizia e nella parte in cui – attraverso il nuovo
comma 6-bis dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990 – introduce un
termine breve di trenta giorni per l’adozione dei provvedimenti di
divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli effetti della
SCIA in materia edilizia».
Ad avviso della ricorrente, detta normativa violerebbe:
a) l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto introduce la disposizione
che consente l’avvio immediato dell’attività con la segnalazione
dell’inizio di questa e che disciplina le modalità di funzionamento
della SCIA, mediante regole di dettaglio precluse allo Stato nella
materia del governo del territorio, demandata alla competenza
legislativa concorrente; b) l’art. 3 Cost., per contrasto con i principi
di ragionevolezza e proporzionalità, e l’art. 97, primo comma Cost.,
per violazione del principio di buon andamento dell’attività
amministrativa, in quanto si tradurrebbe nella limitazione della potestà
legislativa regionale, perché sarebbe eliminata la possibilità delle
amministrazioni di operare un rapido esame preventivo dei progetti.
Pertanto, verrebbe meno, in modo irragionevole, la possibilità
d’impedire la realizzazione di eventuali abusi, in contrasto col
principio di buon andamento dell’amministrazione, in quanto non sarebbe
stata conservata la clausola di salvezza prevista dalla vecchia
formulazione dell’art. 19, comma 4, della legge n. 241 del 1990
(«Restano ferme le disposizioni di legge vigenti che prevedono termini
diversi da quelli di cui ai commi 2 e 3 per l’inizio dell’attività e per
l’adozione da parte dell’amministrazione competente di provvedimenti di
divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione dei suoi
effetti»), così escludendo questa pur lieve forma di tutela; c) l’art.
9, secondo comma, Cost., per contrasto con l’esigenza costituzionale di
tutela del paesaggio, connessa alla tutela del territorio per effetto di
accordi internazionali ai quali l’Italia ha prestato adesione.
Inoltre, l’art. 5, comma 2, lettera b), del d. l. n. 70
del 2011, poi convertito in legge, nella parte in cui ha introdotto un
termine breve di trenta giorni per l’adozione dei provvedimenti di
divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli effetti della
SCIA in materia edilizia, si porrebbe in contrasto: con l’art. 117,
terzo comma, Cost., per aver travalicato la potestà legislativa statale
che, essendo concorrente con quella regionale, sarebbe limitata alla
determinazione dei principi fondamentali della materia; con gli artt. 3 e
97 Cost., in quanto la previsione del termine di trenta giorni sarebbe
irragionevole e contraria al principio di buon andamento dell’attività
amministrativa, dal momento che l’art. 19 della legge n. 241 del 1990
contemplerebbe ora un termine di verifica più lungo per attività
economiche di minor impatto ed uno inferiore per l’attività edilizia, il
cui svolgimento sarebbe più delicato e potenzialmente foriero di danni
irreversibili per il territorio; con gli artt. 114 e 118 Cost., in
quanto la riduzione del termine avrebbe il solo effetto di limitare,
senza giustificazione, i poteri di verifica della pubblica
amministrazione nel controllo del territorio, interferendo con i poteri
di controllo di Comuni e Regioni sull’attività edilizia.
4.— In via preliminare la difesa dello Stato ha eccepito
il carattere tardivo dei ricorsi, proposti «avverso le norme del
decreto-legge non modificate in sede di conversione e quindi, in
ipotesi, immediatamente lesive».
L’eccezione non è fondata.
L’efficacia immediata, propria del decreto-legge, e il
conseguente carattere lesivo che esso può assumere, lo rendono
impugnabile in via immediata da parte delle Regioni. È pur vero, però,
che soltanto con la legge di conversione il detto provvedimento
legislativo acquisisce stabilità (art. 77, terzo comma, Cost.). In tale
contesto, come questa Corte ha più volte affermato, la Regione può, a
sua scelta, impugnare tanto il solo decreto legge, quanto la sola legge
di conversione, quanto entrambi (ex plurimis: sentenze n. 298 del 2009,
n. 443 del 2007, n. 417 del 2005, n. 25 del 1996).
5.— Nel merito, le questioni non sono fondate.
L’art. 49, comma 4-bis, del d.l. n. 78 del 2010,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, sostituisce
il testo dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990, ora recante la
rubrica «Segnalazione certificata di inizio di attività – SCIA».
Il comma 1 del testo novellato (testo risultante anche
da alcune modifiche introdotte con provvedimenti successivi, tra i quali
il decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni,
dalla legge, 12 luglio 2011, n. 106) stabilisce che «Ogni atto di
autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla
osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o
ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale,
commerciale o artigianale, il cui rilascio dipenda esclusivamente
dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da
atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun
limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione
settoriale per il rilascio degli atti stessi, è sostituito da una
segnalazione dell’interessato, con la sola esclusione dei casi in cui
sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti
rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla
pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo, alla cittadinanza,
all’amministrazione della giustizia, all’amministrazione delle finanze,
ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito,
anche derivante dal gioco, nonché di quelli previsti dalla normativa per
le costruzioni in zone sismiche e di quelli imposti dalla normativa
comunitaria».
La disposizione prosegue specificando gli atti che
devono essere prodotti a corredo della segnalazione e dispone che
quest’ultima, con i relativi allegati, può essere presentata mediante
posta raccomandata con avviso di ricevimento, ad eccezione dei
procedimenti per cui è previsto l’utilizzo esclusivo della modalità
telematica; in tal caso la segnalazione si considera presentata al
momento della ricezione da parte dell’amministrazione.
Il comma 2 stabilisce che «L’attività oggetto della
segnalazione può essere iniziata dalla data della presentazione della
segnalazione all’amministrazione competente».
Il comma 3 aggiunge che «L’amministrazione competente,
in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui al
comma 1, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della
segnalazione di cui al medesimo comma, adotta motivati provvedimenti di
divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali
effetti dannosi di essa, salvo che, ove ciò sia possibile, l’interessato
provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi
effetti entro un termine fissato dall’amministrazione, in ogni caso non
inferiore a trenta giorni. È fatto comunque salvo il potere
dell’amministrazione competente di assumere determinazioni in via di
autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies. In caso di
dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà
false o mendaci, l’amministrazione, ferma restando l’applicazione delle
sanzioni penali di cui al comma 6, nonché di quelle di cui al capo VI
del Testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28
dicembre 2000, n. 445 (Testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia di documentazione amministrativa – Testo A),
può sempre e in ogni tempo adottare i provvedimenti di cui al primo
periodo».
Seguono, poi, altri commi, fino al 6-ter, tra i quali
vanno richiamati i commi 4 e 6-bis, quest’ultimo aggiunto dall’art. 5,
comma 2, lettera b), numero 2), del d.l. n. 70 del 2011, convertito, con
modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, poi ancora
modificato dalla lettera b) del comma 1 dell’art. 6 del decreto-legge 13
agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione
finanziaria e lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dalla legge
14 settembre 2011, n. 148.
Il citato comma 4 stabilisce che «Decorso il termine per
l’adozione dei provvedimenti di cui al primo periodo del comma 3 ovvero
di cui al comma 6-bis, all’amministrazione è consentito intervenire
solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e
culturale, per l’ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la
difesa nazionale e previo motivato accertamento dell’impossibilità di
tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell’attività
dei privati alla normativa vigente». Il comma 6-bis dispone che «Nei
casi di Scia in materia edilizia, il termine di sessanta giorni di cui
al primo periodo del comma 3 è ridotto a trenta giorni. Fatta salva
l’applicazione delle disposizioni di cui al comma 4 e al comma 6,
restano altresì ferme le disposizioni relative alla vigilanza
sull’attività urbanistico- edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni
previste dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n.
380, e dalle leggi regionali».
Il comma 4-ter del citato art. 49 del d.l. n. 78 del
2010, come convertito, a sua volta statuisce che «Il comma 4-bis attiene
alla tutela della concorrenza ai sensi dell’articolo 117, secondo
comma, lettera e), della Costituzione, e costituisce livello essenziale
delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali ai sensi della
lettera m) del medesimo comma. Le espressioni “segnalazione certificata
di inizio attività” e “Scia” sostituiscono, rispettivamente, quelle di
“dichiarazione di inizio di attività” e “Dia”, ovunque ricorrano, anche
come parte di una espressione più ampia, e la disciplina di cui al comma
4-bis sostituisce direttamente, dalla data di entrata in vigore della
legge di conversione del presente decreto, quella della dichiarazione di
inizio attività recata da ogni normativa statale e regionale».
6.— La «segnalazione certificata d’inizio attività»
(d’ora in avanti, SCIA) si pone in rapporto di continuità con l’istituto
della DIA, che dalla prima è stato sostituito. La DIA («denuncia di
inizio attività») fu introdotta nell’ordinamento italiano con l’art. 19
della legge n. 241 del 1990, inserito nel capo IV di detta legge,
dedicato alla «Semplificazione dell’azione amministrativa».
Successivamente, con l’entrata in vigore del decreto legge 14 marzo
2005, n. 35 (Disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo
sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la
modifica del codice di procedura civile in materia di processo di
cassazione e di arbitrato, nonché per la riforma organica della
disciplina delle procedure concorsuali), convertito, con modificazioni,
dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, essa assunse la denominazione di
«dichiarazione di inizio attività».
Scopo dell’istituto era quello di rendere più semplici
le procedure amministrative indicate nella norma, alleggerendo il carico
degli adempimenti gravanti sul cittadino. In questo quadro s’iscrive
anche la SCIA, del pari finalizzata alla semplificazione dei
procedimenti di abilitazione all’esercizio di attività per le quali sia
necessario un controllo della pubblica amministrazione.
Il principio di semplificazione, ormai da gran tempo
radicato nell’ordinamento italiano, è altresì di diretta derivazione
comunitaria (Direttiva 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato
interno, attuata nell’ordinamento italiano con decreto legislativo 26
marzo 2010, n. 59). Esso, dunque, va senza dubbio catalogato nel novero
dei principi fondamentali dell’azione amministrativa (sentenze n. 282
del 2009 e n. 336 del 2005).
7.— I ricorsi in esame censurano la normativa impugnata
nella parte in cui, qualificando la disciplina della SCIA, contenuta
nell’art. 49, comma 4-bis, come attinente alla tutela della concorrenza
ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., e costituente
livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e
sociali a norma dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., ha
stabilito che la nuova disciplina si sostituisca a quella già esistente
in tema di DIA (art. 49, comma 4-ter), modificando non soltanto la
previgente disciplina statale ma anche quella regionale. In tal modo la
detta normativa avrebbe interessato ambiti di legislazione regionale, ai
sensi dell’art. 117, terzo e quarto comma, Cost., quali la tutela della
salute, l’ordinamento degli uffici regionali, l’artigianato, il
commercio, oltre alle materie riservate dallo statuto di autonomia alla
potestà legislativa primaria della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée
d’Aoste.
8.— Nella giurisprudenza di questa Corte si è più volte
affermato che, ai fini del giudizio di legittimità costituzionale, la
qualificazione legislativa non vale ad attribuire alle norme una natura
diversa da quelle ad esse propria, quale risulta dalla loro oggettiva
sostanza. Per individuare la materia alla quale devono essere ascritte
le disposizioni oggetto di censura, non assume rilievo la qualificazione
che di esse dà il legislatore, ma occorre fare riferimento all’oggetto e
alla disciplina delle medesime, tenendo conto della loro ratio e
tralasciando gli effetti marginali e riflessi, in guisa da identificare
correttamente anche l’interesse tutelato (ex plurimis: sentenze n. 207
del 2010; n. 1 del 2008; n. 169 del 2007; n. 447 del 2006; n. 406 e n.
29 del 1995).
In questo quadro, il richiamo alla tutela della
concorrenza, effettuato dal citato art. 49, comma 4-ter, oltre ad essere
privo di efficacia vincolante, è anche inappropriato. Infatti, la
disciplina della SCIA, con il principio di semplificazione ad essa
sotteso, si riferisce ad «ogni atto di autorizzazione, licenza,
concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato,
comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per
l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale, il
cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e
presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto
generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o
specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli
stessi».
Detta disciplina, dunque, ha un ambito applicativo
diretto alla generalità dei cittadini e perciò va oltre la materia della
concorrenza, anche se è ben possibile che vi siano casi nei quali
quella materia venga in rilievo. Ma si tratta, per l’appunto, di
fattispecie da verificare in concreto (per esempio, in relazione
all’esigenza di eliminare barriere all’entrata nel mercato).
Invece, a diverse conclusioni deve pervenirsi con
riferimento all’altro parametro evocato dall’art. 49, comma 4-ter, del
d.l. n. 78 del 2010, poi convertito in legge.
Detta norma stabilisce che la disciplina della SCIA, di
cui al precedente comma 4-bis, costituisce livello essenziale delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali ai sensi dell’art.
117, secondo comma, lettera m), Cost. Analogo principio, con riferimento
alla DIA, era stato affermato dall’art. 29, comma 2-ter, della legge n.
241 del 1990, come modificato dall’art. 10, comma 1, lettera b), della
legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la
semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile),
poi ancora modificato dall’art. 49, comma 4, del d.l. n. 78 del 2010,
come convertito in legge.
Tale autoqualificazione, benché priva di efficacia vincolante per quanto prima rilevato, si rivela corretta.
Al riguardo, va rimarcato che l’affidamento in via
esclusiva alla competenza legislativa statale della determinazione dei
livelli essenziali delle prestazioni è prevista in relazione ai «diritti
civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio
nazionale». Esso, dunque, si collega al fondamentale principio di
uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. La suddetta determinazione è
strumento indispensabile per realizzare quella garanzia.
In questo quadro, si deve ricordare che, secondo la
giurisprudenza di questa Corte, «l’attribuzione allo Stato della
competenza esclusiva e trasversale di cui alla citata disposizione
costituzionale si riferisce alla determinazione degli standard
strutturali e qualitativi di prestazioni che, concernendo il
soddisfacimento di diritti civili e sociali, devono essere garantiti,
con carattere di generalità, a tutti gli aventi diritto» (sentenze n.
322 del 2009; n. 168 e n. 50 del 2008; n. 387 del 2007).
Questo titolo di legittimazione dell’intervento statale è
invocabile «in relazione a specifiche prestazioni delle quali la
normativa statale definisca il livello essenziale di erogazione»
(sentenza n. 322 del 2009, citata; e sentenze n. 328 del 2006; n. 285 e
n.120 del 2005), e con esso è stato attribuito «al legislatore statale
un fondamentale strumento per garantire il mantenimento di una adeguata
uniformità di trattamento sul piano dei diritti di tutti i soggetti, pur
in un sistema caratterizzato da un livello di autonomia regionale e
locale decisamente accresciuto» (sentenze n.10 del 2010 e n. 134 del
2006).
Si tratta, quindi, come questa Corte ha precisato, non
tanto di una “materia” in senso stretto, quanto di una competenza del
legislatore statale idonea ad investire tutte le materie, in relazione
alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie
per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il godimento
di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti,
senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle
(sentenze n. 322 del 2009 e n. 282 del 2002).
Alla stregua di tali principi, la disciplina della SCIA
ben si presta ad essere ricondotta al parametro di cui all’art. 117,
secondo comma, lettera m), Cost. Tale parametro permette una restrizione
dell’autonomia legislativa delle Regioni, giustificata dallo scopo di
assicurare un livello uniforme di godimento dei diritti civili e sociali
tutelati dalla stessa Costituzione. In particolare, «la ratio di tale
titolo di competenza e l’esigenza di tutela dei diritti primari che è
destinato a soddisfare consentono di ritenere che esso può rappresentare
la base giuridica anche della previsione e della diretta erogazione di
una determinata provvidenza, oltre che della fissazione del livello
strutturale e qualitativo di una data prestazione, al fine di assicurare
più compiutamente il soddisfacimento dell’interesse ritenuto meritevole
di tutela (sentenze n. 248 del 2006, n. 383 e n. 285 del 2005), quando
ciò sia reso imprescindibile, come nella specie, da peculiari
circostanze e situazioni, quale una fase di congiuntura economica
eccezionalmente negativa» (sentenza n. 10 del 2010, punto 6.3. del
Considerato in diritto).
Orbene – premesso che l’attività amministrativa può
assurgere alla qualifica di “prestazione”, della quale lo Stato è
competente a fissare un livello essenziale a fronte di uno specifico
diritto di individui, imprese, operatori economici e, in genere,
soggetti privati – la normativa qui censurata prevede che gli
interessati, in condizioni di parità su tutto il territorio nazionale,
possano iniziare una determinata attività (rientrante nell’ambito del
citato comma 4-bis), previa segnalazione all’amministrazione competente.
Con la presentazione di tale segnalazione, il soggetto può dare inizio
all’attività, mentre l’amministrazione, in caso di accertata carenza dei
requisiti e dei presupposti legittimanti, nel termine di sessanta
giorni dal ricevimento della segnalazione (trenta giorni nel caso di
SCIA in materia edilizia), adotta motivati provvedimenti di divieto di
prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti
dannosi di essa, salva la possibilità che l’interessato provveda a
conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro
un termine fissato dall’amministrazione.
Al soggetto interessato, dunque, si riconosce la
possibilità di dare immediato inizio all’attività (è questo il
principale novum della disciplina in questione), fermo restando
l’esercizio dei poteri inibitori da parte della pubblica
amministrazione, ricorrendone gli estremi. Inoltre, è fatto salvo il
potere della stessa pubblica amministrazione di assumere determinazioni
in via di autotutela, ai sensi degli artt. 21-quinquies e 21-nonies
della legge n. 241 del 1990.
Si tratta di una prestazione specifica, circoscritta
all’inizio della fase procedimentale strutturata secondo un modello ad
efficacia legittimante immediata, che attiene al principio di
semplificazione dell’azione amministrativa ed è finalizzata ad agevolare
l’iniziativa economica (art. 41, primo comma, Cost.), tutelando il
diritto dell’interessato ad un sollecito esame, da parte della pubblica
amministrazione competente, dei presupposti di diritto e di fatto che
autorizzano l’iniziativa medesima.
9.— Le considerazioni fin qui svolte vanno applicate
anche alla SCIA in materia edilizia, come ormai in modo espresso dispone
l’art. 5, comma 1, lettera b), e comma 2, lettere b) e c), del d.l. n.
70 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 106 del 2011,
entro i limiti e con le esclusioni previsti.
Infatti, ribadito che la normativa censurata riguarda
soltanto il momento iniziale di un intervento di semplificazione
procedimentale, e precisato che la SCIA non si sostituisce al permesso
di costruire (i cui ambiti applicativi restano disciplinati in via
generale dal d.P.R. n. 380 del 2001), non può porsi in dubbio che le
esigenze di semplificazione e di uniforme trattamento sull’intero
territorio nazionale valgano anche per l’edilizia. È ben vero che
questa, come l’urbanistica, rientra nel «governo del territorio»,
materia appartenente alla competenza legislativa concorrente tra Stato e
Regioni (art. 117, terzo comma, Cost.).
Tuttavia, a prescindere dal rilievo che in tale materia
spetta comunque allo Stato dettare i principi fondamentali (nel cui
novero va ricondotta la semplificazione amministrativa), è vero del pari
che nel caso di specie, sulla base degli argomenti in precedenza
esposti, il titolo di legittimazione dell’intervento statale nella
specifica disciplina della SCIA si ravvisa nell’esigenza di determinare
livelli essenziali di prestazioni concernenti i diritti civili e sociali
che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, compreso
quello delle Regioni a statuto speciale. In altri termini, si è in
presenza di un concorso di competenze che, nella fattispecie, vede
prevalere la competenza esclusiva dello Stato, essendo essa l’unica in
grado di consentire la realizzazione dell’esigenza suddetta.
10.— Infine, è stata dedotta dalle ricorrenti la
violazione del principio di leale collaborazione. La deduzione,
tuttavia, non è fondata, perché, pur volendo prescindere dal carattere
assorbente delle considerazioni che precedono, costituisce
«giurisprudenza pacifica di questa Corte che l’esercizio dell’attività
legislativa sfugge alle procedure di leale collaborazione» (così, da
ultimo, sentenze n. 371 e 222 del 2008, e n. 401 del 2007).
11.— Conclusivamente, la riconduzione della disciplina
in esame all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. comporta la non
fondatezza delle questioni, sotto tutti i profili, in quanto la
normativa censurata rientra nella competenza legislativa esclusiva dello
Stato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunce la decisione delle altre
questioni di legittimità costituzionale promosse dalle Regioni indicate
in epigrafe con i rispettivi ricorsi, nei confronti del decreto-legge 31
maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione
finanziaria e di competitività economica), convertito, con
modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122;
riuniti i giudizi;
1) dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale dell’articolo 49, commi 4-bis e 4-ter, del decreto-legge
31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione
finanziaria e di competitività economica), convertito, con
modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, promosse:
a) dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste,
limitatamente all’articolo 4-ter del citato decreto-legge n. 78 del
2010, come convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010,
in riferimento all’art. 117 della Costituzione, in combinato disposto
con l’art. 10 della legge costituzionale del 18 ottobre 2010, n. 3
(Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), nonché
agli artt. 2, primo comma, lettere g), p) e q), e 3, primo comma,
lettera a), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto
speciale per la Valle d’Aosta) e alle relative norme di attuazione,
nonché, in subordine, per violazione del principio costituzionale di
leale collaborazione, con il ricorso indicato in epigrafe;
b) dalle Regioni Toscana, Liguria, Emilia Romagna e
Puglia, in riferimento, nel complesso, agli artt. 3, 97, 114, secondo
comma, 117, secondo comma, lettere e) ed m), terzo e quarto comma, 118 e
121, secondo comma, della Costituzione, nonché sotto il profilo della
violazione del principio della leale collaborazione, con i ricorsi
indicati in epigrafe;
2) dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale dell’articolo 5, comma 1, lettera b), e comma 2, lettere
b) e c), del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo –
Prime disposizioni urgenti per l’economia), convertito, con
modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, promosse in
riferimento agli artt. 3, 9, 97, 114, 117 e 118 Cost. dalla Regione
Emilia-Romagna con il ricorso in epigrafe indicato.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 giugno 2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Alessandro CRISCUOLO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 27 giugno 2012.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI
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