ORDINANZA N. 94
ANNO 2012
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Franco GALLO,
Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI,
Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo
Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro
CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio
LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta
CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario
MORELLI,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli
articoli 186, comma 2, e 47 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n.
285 (Nuovo codice della strada), promosso dal Tribunale di Trento nel
procedimento penale a carico di M.T. con ordinanza del 15 giugno 2011,
iscritta al n. 227 del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale,
dell’anno 2011.
Udito nella camera di consiglio del 7 marzo 2012 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi.
Ritenuto che il Tribunale di Trento, con ordinanza
del 15 giugno 2011 (r.o. n. 227 del 2011), ha sollevato questione di
legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3, 25, secondo
comma, 27, terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione,
dell’articolo 186, comma 2, in «combinato disposto» con l’articolo 47
del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della
strada), laddove «prevede il ricorso allo strumento penale per
sanzionare la guida in stato di ebbrezza di chi conduca qualunque tipo
[di] veicolo, compreso il velocipede, e non lo utilizzi invece
limitatamente alla guida di veicoli a motore (dotati di un potenziale di
rischio altamente più elevato), o comunque non prevede sanzioni
differenziate tra veicoli a motore e non a motore, proporzionate al tipo
di rischio immesso nella circolazione»;
che il rimettente premette di procedere nei confronti di
un imputato accusato del reato di cui all’art. 186, commi 2, lettera
c), e 2-sexies, del decreto legislativo n. 285 del 1992, commesso il 27
giugno 2010, per aver guidato un velocipede in stato di ebbrezza
conseguente all’uso di bevande alcoliche (tasso alcolemico accertato tra
le ore 22,00 e le ore 7,00 pari a 2,78 g/l e 2,71 g/l);
che, ad avviso del rimettente, in considerazione
dell’eterogeneità dei mezzi per la circolazione su strada attualmente
esistenti, il legislatore ha provveduto a una classificazione dei
veicoli, includendo in questa, tra gli altri, i velocipedi (art. 47,
comma 1, lettera c, del codice della strada) e stabilendo poi una
puntuale disciplina per i differenti veicoli (artt. da 48 a 63 del
medesimo codice);
che, vietando la guida in stato di ebbrezza e
sanzionandola variamente in relazione al tasso alcolemico accertato,
l’art. 186 del codice della strada non richiama la nozione di veicolo di
cui al citato art. 47 e, nondimeno, «il legislatore, pur potendo
utilizzare sostantivi maggiormente generici nella descrizione della
condotta censurata, ne sceglie uno, e cioè “guida”, che si connota per
essere comunemente applicato in tema di automezzi, vale a dire di
autoveicoli»;
che da tale rilievo discenderebbe il primo sospetto che
la norma incriminatrice non possa essere applicata indiscriminatamente a
tutti i veicoli elencati dall’art. 47 del codice della strada;
che, sottolinea ancora il giudice a quo,
all’applicazione della sanzione penale si accompagna l’automatica
sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida e, in
determinate ipotesi, la confisca del veicolo con il quale è stato
commesso il reato;
che la natura delle sanzioni accessorie indicate
renderebbe palese che «il legislatore ha creato questa disposizione di
legge avendo preso a riferimento i soli veicoli a motore, la cui
complessità quanto a conduzione e il cui potenziale lesivo ne impongono
l’utilizzo ai soli soggetti muniti di apposita licenza»;
che, sulla base di queste premesse, il Tribunale di
Trento prospetta l’indicata questione di legittimità costituzionale,
articolandola sotto tre profili;
che, sotto il primo profilo, verrebbe in rilievo la
violazione del principio di ragionevolezza, in forza del quale
situazioni identiche ovvero ontologicamente assimilabili devono ricevere
lo stesso trattamento – anche sanzionatorio – e, all’opposto,
situazioni diverse devono ricevere trattamenti differenziati;
che, alla luce dell’oggetto giuridico del reato in
esame, che mira a proteggere la sicurezza della circolazione stradale e,
indirettamente, l’incolumità personale, la conduzione di veicoli non a
motore in condizione di alterazione psicofisica potrebbe comportare
qualche pericolo per la sicurezza stradale, ma tale rischio sarebbe
quantitativamente diverso e certamente molto inferiore a quello creato
dalla circolazione, in analoghe condizioni, di veicoli a motore;
che, ad avviso del rimettente, tale osservazione rende
preferibile l’interpretazione restrittiva della norma che esclude la
possibilità di integrazione del reato in relazione a «veicoli che, per
natura, non sono in grado di immettere nella circolazione stradale un
grado di rischio equivalente e paragonabile a quello dei veicoli a
motore», interpretazione che troverebbe conferma nelle «correlazioni
sistematiche tra il comma 2 dell’art. 186 e i commi successivi, che (…)
chiariscono come il legislatore abbia inteso riferirsi esclusivamente ai
veicoli a motore»;
che sarebbe dunque sproporzionato e irragionevole punire
con la stessa sanzione prevista per i veicoli a motore fattispecie che,
come quella in esame, destano un minor allarme sociale;
che, sotto il secondo profilo, il Tribunale di Trento
censura la norma in questione per violazione del principio di
proporzionalità della pena (art. 27, terzo comma, Cost.), interpretato
alla luce del principio di ragionevolezza;
che, come rileva il rimettente, la risposta
sanzionatoria al reato può costituire giusta retribuzione della
trasgressione realizzata ed efficace monito rispetto a nuove condotte
illecite, così da essere portatrice di reale forza dissuasiva, solo nel
caso in cui sia proporzionata al concreto disvalore del fatto commesso:
«tale non sarebbe, invece, il caso del trattamento sanzionatorio
previsto per la conduzione in stato di ebbrezza di un velocipede,
giacché la fattispecie risulta addirittura assoggettata ad una sanzione
altamente restrittiva della libertà personale, vale a dire la pena
detentiva dell’arresto fino ad un anno qualora il tasso alcolemico
accertato superi 0,8 g/l»;
che, sotto il terzo profilo, la norma censurata
violerebbe il principio di determinatezza della legge penale, corollario
del principio di legalità, previsto dall’art. 25, secondo comma, Cost. e
dall’art. 117, primo comma, Cost. in relazione all’art. 7 della
Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali,
ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848;
che infatti il principio di legalità sarebbe rispettato
nella forma, ma eluso nella sostanza, se la legge che prevede un fatto
come reato lo configurasse in termini così generici da non lasciar
individuare con sufficiente precisione il comportamento penalmente
sanzionato;
che il principio di tassatività, caratterizzato dalla
stessa ragione ispiratrice del principio di legalità, tende a
salvaguardare il cittadino contro eventuali abusi, ponendolo in
condizione di discernere senza ambiguità tra l’area del lecito e quella
dell’illecito, laddove l’art. 186 del codice della strada «è norma né
chiara, né precisa: non è dato rinvenirvi una scelta nitida di
incriminazione da parte del legislatore, poiché la condotta ivi
descritta (…) sembra abbracciare condotte del tutto eterogenee».
Considerato che il Tribunale di Trento, con ordinanza
del 15 giugno 2011 (r.o. n. 227 del 2011), ha sollevato questione di
legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3, 25, secondo
comma, 27, terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione,
dell’articolo 186, comma 2, in «combinato disposto» con l’articolo 47
del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della
strada), perché «prevede il ricorso allo strumento penale per sanzionare
la guida in stato di ebbrezza di chi conduca qualunque tipo [di]
veicolo, compreso il velocipede, e non lo utilizzi invece limitatamente
alla guida di veicoli a motore (dotati di un potenziale di rischio
altamente più elevato), o comunque non prevede sanzioni differenziate
tra veicoli a motore e non a motore, proporzionate al tipo di rischio
immesso nella circolazione»;
che il rimettente ritiene «preferibile»
un’interpretazione «restrittiva» della norma incriminatrice, tale da
escludere la possibilità di integrazione del reato nel caso di
conduzione di «veicoli che, per natura, non sono in grado di immettere
nella circolazione stradale un grado di rischio equivalente e
paragonabile a quello dei veicoli a motore»;
che, nella stessa prospettiva interpretativa, il
rimettente sottolinea come il vocabolo intorno al quale è costruita
normativamente la fattispecie incriminatrice – «guida» – si connoti «per
essere comunemente applicato in tema di automezzi, vale a dire di
autoveicoli», il che farebbe pensare che la norma censurata non possa
essere applicata indiscriminatamente a tutti i veicoli elencati
dall’art. 47 del codice della strada;
che, ad avviso del rimettente, per un verso la natura
della sospensione della patente di guida e della confisca renderebbe
palese che «il legislatore ha creato questa disposizione di legge avendo
preso a riferimento i soli veicoli a motore, la cui complessità quanto a
conduzione e il cui potenziale lesivo ne impongono l’utilizzo ai soli
soggetti muniti di apposita licenza» e, per altro verso, le
«correlazioni sistematiche tra il comma 2 dell’art. 186 e i commi
successivi» chiarirebbero «come il legislatore abbia inteso riferirsi
esclusivamente ai veicoli a motore»;
che, sempre nella prospettiva delineata dal tribunale
rimettente, il rischio connesso alla guida di veicoli non a motore in
condizione di alterazione psicofisica sarebbe inferiore al rischio
creato dalla circolazione, in analoghe condizioni, di veicoli a motore,
il che offrirebbe ulteriore conforto all’interpretazione «restrittiva»
della norma incriminatrice ritenuta «preferibile»;
che, al di là di qualsiasi considerazione
sull’interpretazione «restrittiva» della norma censurata, privilegiata
dal rimettente (interpretazione in contrasto con l’orientamento espresso
dalla Corte di cassazione in varie pronunce, tra le quali, ad esempio,
Cass., sez. IV, 14 novembre 2007, n. 3454/08), è da rilevare che essa
risulta in palese contrasto con il presupposto delle censure formulate
in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.;
che, infatti, il rimettente, da un lato, propende per
un’interpretazione della norma censurata tale da escludere dalla sfera
applicativa del reato di guida in stato di ebbrezza la condotta del
conducente di un velocipede, mentre, dall’altro, censura la norma stessa
in quanto «prevede il ricorso allo strumento penale per sanzionare la
guida in stato di ebbrezza di chi conduca qualunque tipo [di] veicolo,
compreso il velocipede, e non lo utilizzi invece limitatamente alla
guida di veicoli a motore (dotati di un potenziale di rischio altamente
più elevato), o comunque non prevede sanzioni differenziate tra veicoli a
motore e non a motore, proporzionate al tipo di rischio immesso nella
circolazione»;
che le censure indicate sono dunque prospettate «in
antitesi con la premessa interpretativa svolta dal rimettente»
(ordinanza n. 127 del 2009), il che determina la manifesta
inammissibilità della questione, in quanto formulata in modo
contraddittorio;
che alla stessa conclusione deve giungersi con riguardo
alle censure relative alla ipotizzata violazione del «principio di
sufficiente determinatezza della legge penale» (artt. 25, secondo comma,
e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 7 della CEDU);
che per costante giurisprudenza di questa Corte al fine
di «verificare il rispetto del principio di tassatività o di
determinatezza della norma penale occorre non già valutare isolatamente
il singolo elemento descrittivo dell’illecito, bensì collegarlo con gli
altri elementi costitutivi della fattispecie e con la disciplina in cui
questa s’inserisce» (così, ex plurimis, la sentenza n. 282 del 2010);
che il rimettente, da una parte, lamenta la violazione
del principio di determinatezza della fattispecie incriminatrice, mentre
dall’altra, contraddittoriamente, fa leva su alcuni canoni
interpretativi, di carattere letterale e sistematico, che lo conducono
ad accogliere la già indicata interpretazione «restrittiva» della norma
incriminatrice;
che, dunque, anche con riferimento alle censure relative
agli artt. 25, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., la questione è
formulata in modo contraddittorio e deve essere dichiarata
manifestamente inammissibile;
che, inoltre, le censure relative agli artt. 25, secondo
comma, e 117, primo comma, Cost., sono formulate «in modo generico e
apodittico» (ordinanza n. 126 del 2011), in quanto il rimettente si
limita ad affermare che la norma censurata non sarebbe né chiara, né
precisa e che non sarebbe rinvenibile «una scelta nitida di
incriminazione da parte del legislatore, poiché la condotta ivi
descritta (…) sembra abbracciare condotte del tutto eterogenee»;
che, pertanto, anche da questo punto di vista la questione è manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo
1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione
di legittimità costituzionale dell’articolo 186, comma 2, in «combinato
disposto» con l’articolo 47 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n.
285 (Nuovo codice della strada), sollevata, in riferimento agli articoli
3, 25, secondo comma, 27, terzo comma, e 117, primo comma, della
Costituzione, dal Tribunale di Trento, con l’ordinanza indicata in
epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 aprile 2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Giorgio LATTANZI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 18 aprile 2012.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: MELATTI
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