N. 01623/2012REG.PROV.COLL.
N. 01139/2001 REG.RIC.
N. 01139/2001 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1139 del 2001, proposto da:
Morelli Giovanni, rappresentato e difeso dall'avv. Paolo Maria Montaldo, con domicilio eletto presso Paolo Maria Montaldo in Roma, viale delle Milizie, n. 38;
contro
Regione Lazio, in persona del Presidente pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Bottino, dell’Avvocatura regionale della Regione Lazio, con domicilio in Roma, via Marcantonio Colonna, n. 27;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE I TER n. 03023/2000, resa tra le parti, concernente INQUADRAMENTO E CORRESPONSIONE SOMME
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 febbraio 2012 il Cons. Carlo Schilardi e uditi per le parti l’avvocato Montaldo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Il signor Giovanni Morelli, ex dipendente dell’U.M.A, dopo la soppressione dell’ente è stato inquadrato nei ruoli della Regione Lazio con decorrenza 1.4.1979, quindi dal 14.4.1985 è stato assegnato all’Opera universitaria di Viterbo e successivamente all’I.DI.S.U. dell’Università degli Studi di Viterbo dal 10.6.1985, a seguito di trasformazione dell’Opera.
L’interessato assume che con deliberazione del 13.7.1985 del Consiglio di amministrazione è stato nominato Direttore amministrativo dell’Istituto, incarico ricoperto sino al collocamento a riposo l’1 maggio 1994.
Non essendogli stati corrisposti l’indennità di coordinamento e il trattamento economico principale ed accessorio della 2^ qualifica dirigenziale vantato, da ultimo formalmente denegatogli dalla Regione il 12.4.1996, il signor Morelli ha presentato ricorso al T.A.R. Lazio per vedersi riconosciuto tale presunto diritto.
Il T.A.R. ha respinto il ricorso sulla base degli orientamenti giurisprudenziali determinatisi in materia e in particolare di una pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 22 del 18.11.1999
Il giudice di prima istanza nel corpo della decisione ha anche avanzato perplessità sul fatto che la struttura dell’I.DI.S.U. di Viterbo, con quattro dipendenti addetti , tra cui il ricorrente, fosse assimilabile, come sostenuto dal ricorrente, ad una struttura ben più complessa quale un “settore” della Regione, che ha come vertice un dirigente di 2^ fascia.
Avverso la sentenza il signor Giovanni Morelli ha proposto appello sostenendo che il T.A.R. non avrebbe considerato tutti gli elementi utili per decidere e che comunque la Regione Lazio, avrebbe adottato i suoi provvedimenti in violazione del D.lgs. n. 29/1993: dell’art. 43, c. 3, della L.R. del Lazio n. 24/1988; degli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione.
L’appello è infondato e va respinto.
Preliminarmente si osserva che non assume rilievo, ai fini della qualificazione dirigenziale dell’ufficio ricoperto, la circostanza riferita dall’interessato che i dipendenti dell’I.DI.S.U. di Viterbo, all’epoca fossero otto e non quattro.
Nel merito della questione, l’appellante insiste sulla rilevanza, ai fini del decidere, della delibera del Commissario dell’I.DI.S.U. dell’Università “La Sapienza” di Roma n. 78 del 14.2.1994, che avrebbe messo in chiaro i livelli di responsabilità interni all’Istituto, prendendo spunto e comparando il disposto dell’art. 2 della L.R. n. 36/1985 e degli artt. 17-20 del Decreto interministeriale del 31.1.1978.
Dall’approfondimento sarebbe emerso, a suo avviso, che le strutture dell’I.DI.S.U. de “La sapienza” e dell’I.S.E.F di Roma denominate “direzione”, corrisponderebbero a quelle regionali denominate “settore”.
Pertanto all’appellante competerebbe il trattamento giuridico ed economico proprio del dirigente di 2^ qualifica, una volta preso atto che la funzione di direttore di un I.DI.S.U. sarebbe corrispondente a quella di un capo settore regionale che è un funzionario di 2^ qualifica dirigenziale.
La Regione Lazio, già nel costituirsi in giudizio in primo grado, oltre a contestare nel merito quanto assunto dal signor Morelli, ha eccepito la inammissibilità del ricorso e quindi dell’appello, non avendo l’interessato impugnato i motivati provvedimenti con cui si è provveduto a definire la sua posizione sul piano giuridico ed economico.
Si può prescindere tuttavia da tale eccezione, atteso che l’appello è infondato nel merito.
Come correttamente osservato dal primo giudice, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con decisione n. 22 del 18.11.1999, ha rimarcato che le mansioni svolte, superiori a quelle dovute sulla base del provvedimento di nomina o di inquadramento, sono del tutto irrilevanti ai fini economici e di progressione di carriera, salvo che la legge non disponga altrimenti e che l’attribuzione della mansioni e del relativo trattamento economico devono trovare presupposto nel provvedimento stesso di nomina o di inquadramento.
Nel pubblico impiego, in sostanza, è la qualifica e non le mansioni il parametro di riferimento per la retribuzione, considerata la rigidità organizzatoria propria della pubblica amministrazione, legata anche ad esigenze fondamentali di controllo della spesa pubblica, così come previsto dall’articolo 97 della Costituzione.
In ordine al disposto dell’articolo 36 della Costituzione, richiamato dall’appellante unitamente alla sentenza della Corte Costituzionale n. 296/19909, come da giurisprudenza ricorrente deve osservarsi che la norma trova applicazione nel pubblico impiego in concorso con altri principi di pari rilevanza, quali il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione e la rigida determinazione delle attribuzioni e responsabilità dei funzionari.
Tali principi non consentono di dare riconoscimento giuridico ed economico alle mansioni superiori esercitate di fatto (Cons, Stato, sez. VI, 18 settembre 2009, n.5605).
Giova rilevare che tale limite ha carattere di generalità nel pubblico impiego, tanto che per i dipendenti degli enti locali la possibilità di riconoscimento delle mansioni superiori è stata esclusa dai vari D.P.R. che hanno recepito gli accordi collettivi di categoria, per evitare che con tale conferimento si potesse far luogo dello slittamento in alto delle varie qualifiche, con conseguenti squilibri e lievitazione della spesa pubblica.
Deve osservarsi, da ultimo, che gli artt. 56 e 57 del D.lgs. n. 29 del 31 marzo 1993, pure evocati dall’appellante, escludono la rilevanza delle mansioni superiori svolte di fatto da un pubblico dipendente, in quanto il divieto di riconoscimento delle stesse ai fini di un diverso inquadramento è coerente ai dettati costituzionali, in particolare all’articolo 97 che, per il principio di imparzialità obbliga alla osservanza delle regole di selezione e di accesso al pubblico impiego, per il buon andamento della pubblica amministrazione e per dare ad essa certezze sul piano organizzativo e finanziario.
L’appello è pertanto infondato e va respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in E. 3000 (tremila).
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna la parte soccombente al pagamento delle spese di giudizio, che si liquidano in E. 3000 (tremila).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 febbraio 2012 con l'intervento dei magistrati:
Luciano Barra Caracciolo, Presidente
Marzio Branca, Consigliere
Francesco Caringella, Consigliere
Carlo Schilardi, Consigliere, Estensore
Marco Buricelli, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 22/03/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Il 22/03/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)